ROMA, 14.03.24 – ENI intende continuare a puntare principalmente su gas e petrolio e di questo passo non ha alcuna possibilità di raggiungere l’obiettivo di Emissioni Nette Zero entro il 2050, come aveva promesso nel 2020. È quanto denunciano Greenpeace Italia, ReCommon e Reclaim Finance in un’analisi della strategia climatica del Cane a sei zampe, pubblicata alla luce dei risultati economico-finanziari e delle strategie di business future dell’azienda, presentati oggi in occasione del Capital Markets Update 2024.
L’Accordo di Parigi impegna la comunità internazionale a contenere l’aumento del riscaldamento globale a 1,5°C e prevede che entro il 2050 per ogni tonnellata di CO2 di origine antropica emessa nell’atmosfera se ne rimuova altrettanta: il percorso che porta a raggiungere questo obiettivo si chiama scenario Emissioni Nette Zero ed è promosso dall’Agenzia Internazionale dell’Energia. Stando alle informazioni messe a disposizione da ENI, con l’attuale livello di produzione di petrolio e gas e lo sviluppo futuro dei suoi giacimenti, nel 2030 la produzione sarà superiore del 35% rispetto al livello richiesto per allinearsi a questo obiettivo.
Ma tali stime sono addirittura conservative, perché da qui al 2027 ENI prevede di aumentare la produzione di petrolio e gas e di mantenerla costante fino al 2030. Così facendo, la sua produzione sarà superiore di ben il 71% rispetto allo scenario Emissioni Nette Zero.
Questo perché ENI è tra i principali attori del business che sembra andare per la maggiore in questi anni di crisi energetica, o supposta tale: il gas naturale liquefatto (GNL). L’azienda sta infatti costruendo nuovi terminali di liquefazione del gas funzionali ai nuovi giacimenti, contravvenendo alle indicazioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, secondo cui non possiamo permetterci nuovi giacimenti di petrolio e gas se vogliamo limitare l’aumento della temperatura globale entro la soglia di 1,5°C.
«Il campione nazionale ENI continua a portare alto nel mondo il vessillo dello sfruttamento dei combustibili fossili made in Italy, raccontando come paritaria la relazione con i territori di estrazione», dichiara Eva Pastorelli di ReCommon. «La realtà mostra invece che ENI continua a imporsi come principale ostacolo a una giusta transizione in Italia e nel Sud Globale, badando solamente ai propri profitti ».
Anche nel caso di Plenitude, la divisione low carbon di ENI, i conti non tornano. Per ogni euro investito nelle attività di Plenitude, ENI investe più di 15 euro in petrolio e gas. Come se non bastasse, poiché Plenitude comprende anche attività di commercializzazione e vendita al dettaglio del gas, per ogni euro investito da ENI in combustibili fossili, meno di sette centesimi sono stati investiti in energie rinnovabili sostenibili.
«Questa strategia industriale viola i diritti umani, acuisce le disuguaglianze sociali e contribuisce a intensificare gli eventi meteorologici estremi», dichiara Simona Abbate, campaigner clima di Greenpeace Italia. «Non possiamo più rinviare la transizione energetica se non vogliamo mettere in conto la perdita di numerose vite umane e danni ambientali incalcolabili. ENI trascina il nostro Paese nella sua folle strategia industriale sul GNL, rendendoci dipendenti da una fonte energetica che ci condannerà all’inferno climatico. Serve un cambio di rotta e serve ora».
Anche per questo ReCommon insieme a Greenpeace Italia e dodici cittadini e cittadine italiane ha deciso di portare ENI in tribunale affinché ne sia accertata e riconosciuta la responsabilità nei confronti della popolazione italiana per danni alla salute, all’incolumità e alle proprietà e per far sì che l’azienda sia condannata a rivedere la sua strategia industriale, riducendo le emissioni di gas climalteranti del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, in linea con l’Accordo di Parigi.