REDD+ sta per Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation, uno schema introdotto dalle Nazioni Unite attraverso cui le grandi multinazionali possono “compensare” le emissioni da esse causate, acquistando “crediti di carbonio” da progetti di conservazione delle foreste che altrimenti sarebbero inesorabilmente distrutte.
Bene, bravi, bis. Salvare le foreste così che assorbano quanta più CO2 possibile, limitando gli effetti della crisi climatica. Un’idea sulla carta a dir poco brillante! Che cosa potrebbe andare storto? Come dicono negli Stati Uniti, sembreremmo davanti al classico win-win game, ovvero un gioco in cui vincono tutti: chi i progetti li promuove e sostiene, le comunità locali che ricevono benefici economici e soprattutto il Pianeta, colpito dalla crisi climatica. In realtà vince solo chi vende i crediti, ovvero le società che “allestiscono” il progetto, e chi li compra, come ENI o altre società petrolifere (ma anche dell’agribusiness o dell’high tech) che possono dare un bel tocco di verde alla loro immagine. Soprattutto possono sostenere di aver ridotto le loro emissioni nette, per all’appunto. comprando i crediti di carbonio che questi progetti generano.
Proviamo a essere ancora più chiari. Se sono un gigante fossile, le mie attività dirette e indirette partoriranno milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Su questo non ci piove. Per rimanere a vecchie conoscenze italiche, il dato relativo a ENI parla di 419 milioni di tonnellate di CO2 per il 2022 – per avere termine di riferimento, più o meno le stesse tonnellate emesse dall’Italia negli stessi 12 mesi. Quelle sono emissioni lorde, ovvero calcolabili e tremendamente vere, visti gli sconvolgimenti in atto sulla nostra povera Terra. Diventano nette, se sottraiamo i crediti magicamente spuntati fuori per progetti REDD+. Per capirci, se emetto 100 ma compro crediti per 10, potrò dire di emettere 90 – valore netto, non lordo.
Tutta l’operazione rischia di essere solo un artifizio numerico perché, come detto, mentre il calcolo delle emissioni è reale – viene fatto con strumenti e metodi scientifici che lo rendono tale – quello delle emissioni evitate grazie al REDD+ è, permettetici il termine, aleatorio. Ci sono esperti che lo stilano in base a vari parametri. Di fatto il lavoro è condotto quasi esclusivamente da una società di certificazione che si chiama Verra, oggetto di uno scandalo internazionale perché da più parti accusata di essere fin troppo “creativa” nelle sue valutazioni. Insomma, la favola dei REDD+ che salveranno il Pianeta appare per l’appunto una favola. Valori e numeri sono gonfiati e non risponderebbero al vero. Anzi, oltre il danno, ci sarebbe pure la beffa. Perché non di rado le comunità che abitano a ridosso o dentro le foreste da preservare, si troverebbero impossibilitate a sfruttare le risorse residuali di quelle stesse foreste che da sempre erano abituati a impiegare per il loro sostentamento. Colpa dei vincoli posti dai progetti. Come se non bastasse, spesso quelle foreste sono già parchi nazionali o similia. Quindi già “preservate”. Ulteriore paradosso è che, mentre nei quattro angoli del mondo le oil major devastano foreste per estrarre petrolio dalla viscere della terra, piccole comunità non possono usare quel poco che serve loro per sopravvivere e che non reca alcun danno alla foresta.