Contro le ingiustizie per natura
Mission

ReCommon è un’associazione che lotta contro gli abusi di potere e il saccheggio dei territori per creare spazi di trasformazione nella società, in Italia, in Europa e nel mondo.

Crediamo che le persone vengano prima del profitto, ma siamo testimoni di devastazione sociale, di continue violazioni di diritti umani e di disastri ambientali che sono frutto di una logica esattamente inversa.

La nostra Vision

Ci impegniamo per “attivare il cambiamento”, facciamo spazio alle persone affinché avvenga una trasformazione reale e radicale.

Approfondisci
I temi

Le campagne di ReCommon si sviluppano attorno a 7 assi tematici, che spesso e volentieri si intrecciano tra di loro. L’approccio a questi temi costituisce la base dei valori su cui è costruito l’agire dell’organizzazione, dei suoi membri e il terreno comune su cui si innestano le relazioni con comunità e movimenti.

Istituzioni e potere economico

Istituzioni che gestiscono miliardi di euro e decidono il destino dei territori e di milioni di persone in piena contiguità con i mercati finanziari e con le grandi multinazionali. Un abuso di potere che favorisce solo pochi soggetti, a scapito della collettività, che invece troppo spesso patisce i suoi effetti nefasti. Per questo la commistione tra enti e organismi statali e i grandi soggetti privati va denunciata e scardinata, con l’obiettivo di porre al di sopra di tutto l’interesse del bene comune.

Sistema fossile

Il comparto fossile è responsabile di disuguaglianze sociali, migrazioni forzate e dell’aggravarsi della salute dell’ambiente e delle persone. La grande finanza è il perno su cui ruota l’economia dei combustibili fossili: un’economia centralizzata, violenta, gestita da pochi e strettamente legata agli Stati, intrecciata alla finanza pubblica e al suo impiego fortemente caratterizzato e condizionato dal contesto geopolitico. Quelle a disposizione degli Stati e dei soggetti privati sono risorse impiegate in maniera molto dannosa, mentre potrebbero costituire il punto di partenza per smantellare l’economia fossile e intraprendere la tanto auspicata giusta transizione.

Estrattivismo

L’estrattivismo si fonda sulla sottrazione sistematica dai territori delle loro risorse, nel senso più ampio del termine. Un esempio è l’acqua di cui si appropria una multinazionale, ma anche l’impatto che una grande infrastruttura come un gasdotto può avere sul territorio che occupa. È un  furto che si combina con lo spostamento forzato della sovranità su quegli stessi territori da chi li vive a chi li depreda. A “decidere” non sono più coloro che sopravvivono grazie a quanto quei territori mettono a loro disposizione, ma i soggetti che si servono del loro controllo per garantire invece il consolidamento e la riproducibilità di un modello predatorio. Che per noi va rigettato in toto.

Globalizzazione 2.0

Una delle risposte alla crisi della crescita economica mondiale in corso da anni si basa sulla realizzazione di mega-corridoi infrastrutturali attraverso l’intero pianeta. Progetti faraoinici come la Nuova Via della Seta, che accelerano il trasporto di merci e capitali e ridisegnano la geografia globale per permettere una produzione just in time che riduca tempi e aumenti i margini di profitto e l’accumulazione nelle mani di pochi. Un piano che porta devastazioni ambientali e violazioni dei diritti umani, accelera il tracollo climatico, aumenta lo sfruttamento in nome del progresso, rende inevitabili ulteriori pandemie e crisi economiche e sociali.

Malaffare e impunità

La lista è lunga: corruzione, connivenze e legami con la criminalità organizzata, evasione e forme sempre più sofisticate di elusione fiscale, riciclaggio di denaro sporco e un’ampia gamma di abusi di potere. Tutte forme di malaffare che sono ormai quotidianamente trattate dagli organi di stampa e che hanno un filo rosso che le lega in maniera fortissima: l’impunità, salvo rare eccezioni, di cui godono soggetti pubblici e privati nell’ambito del loro operato fraudolento. Proprio questo profondo intreccio tra pubblico e privato è uno degli elementi che più “merita” di essere svelato e raccontato.

Transizione ecologica giusta

Il tema della transizione ecologica è ormai a pieno titolo parte del dibattito pubblico, giustamente. Occorre però porsi delle domande: è possibile una transizione ecologica che sia solamente energetica? Siamo davvero convinti che chi ha creato la crisi climatica debba stare al tavolo che promuove la transizione? Noi crediamo che l’unica transizione possibile debba essere democratica, giusta, equa e sostenibile, debba mettere in discussione l’accentramento del potere e della produzione energetica. Crediamo che l’unica transizione possibile debba passare per un cambio del modello energetico e produttivo, in cui le comunità e i territori possano avere voce in capitolo. Serve una trasformazione radicale della società, ripartendo dal basso e dai territori, dalla definizione dei bisogni reali e non basata sulle proiezioni plasmate dalle stesse corporation che oggi controllano il mercato energetico e non solo quello.

il bacino di Chixoy in Guatemala
Giustizia climatica
il bacino di Chixoy in Guatemala

I cambiamenti climatici sono ormai una realtà che porta con sé devastazione ambientale, sociale ed economica, soprattutto per le comunità più marginalizzate. Gli impegni dei governi e delle multinazionali finora non sono serviti a contenere il surriscaldamento del Pianeta sotto una soglia di sicurezza stabilita da tempo dalla comunità scientifica. Di contro, promuovono false soluzioni tecnologiche che rimandano il problema o che addirittura lo eludono, come i meccanismi di compensazione delle emissioni, che condannano chi soffre di più per la crisi climatica a sacrificare i propri territori per permettere agli inquinatori di continuare indisturbati le loro attività. È profondamente ingiusto che ancora una volta chi ha generato la crisi ne esca rafforzato senza cambiare il proprio modello di sviluppo, così dannoso e senza pagare il conto per le ferite inferte al Pianeta.

Contro le ingiustizie per natura

Istituzioni che gestiscono miliardi di euro e decidono il destino dei territori e di milioni di persone in piena contiguità con i mercati finanziari e con le grandi multinazionali. Un abuso di potere che favorisce solo pochi soggetti, a scapito della collettività, che invece troppo spesso patisce i suoi effetti nefasti. Per questo la commistione tra enti e organismi statali e i grandi soggetti privati va denunciata e scardinata, con l’obiettivo di porre al di sopra di tutto l’interesse del bene comune.

Il comparto fossile è responsabile di disuguaglianze sociali, migrazioni forzate e dell’aggravarsi della salute dell’ambiente e delle persone. La grande finanza è il perno su cui ruota l’economia dei combustibili fossili: un’economia centralizzata, violenta, gestita da pochi e strettamente legata agli Stati, intrecciata alla finanza pubblica e al suo impiego fortemente caratterizzato e condizionato dal contesto geopolitico. Quelle a disposizione degli Stati e dei soggetti privati sono risorse impiegate in maniera molto dannosa, mentre potrebbero costituire il punto di partenza per smantellare l’economia fossile e intraprendere la tanto auspicata giusta transizione.

L’estrattivismo si fonda sulla sottrazione sistematica dai territori delle loro risorse, nel senso più ampio del termine. Un esempio è l’acqua di cui si appropria una multinazionale, ma anche l’impatto che una grande infrastruttura come un gasdotto può avere sul territorio che occupa. È un  furto che si combina con lo spostamento forzato della sovranità su quegli stessi territori da chi li vive a chi li depreda. A “decidere” non sono più coloro che sopravvivono grazie a quanto quei territori mettono a loro disposizione, ma i soggetti che si servono del loro controllo per garantire invece il consolidamento e la riproducibilità di un modello predatorio. Che per noi va rigettato in toto.

Una delle risposte alla crisi della crescita economica mondiale in corso da anni si basa sulla realizzazione di mega-corridoi infrastrutturali attraverso l’intero pianeta. Progetti faraoinici come la Nuova Via della Seta, che accelerano il trasporto di merci e capitali e ridisegnano la geografia globale per permettere una produzione just in time che riduca tempi e aumenti i margini di profitto e l’accumulazione nelle mani di pochi. Un piano che porta devastazioni ambientali e violazioni dei diritti umani, accelera il tracollo climatico, aumenta lo sfruttamento in nome del progresso, rende inevitabili ulteriori pandemie e crisi economiche e sociali.

La lista è lunga: corruzione, connivenze e legami con la criminalità organizzata, evasione e forme sempre più sofisticate di elusione fiscale, riciclaggio di denaro sporco e un’ampia gamma di abusi di potere. Tutte forme di malaffare che sono ormai quotidianamente trattate dagli organi di stampa e che hanno un filo rosso che le lega in maniera fortissima: l’impunità, salvo rare eccezioni, di cui godono soggetti pubblici e privati nell’ambito del loro operato fraudolento. Proprio questo profondo intreccio tra pubblico e privato è uno degli elementi che più “merita” di essere svelato e raccontato.

Il tema della transizione ecologica è ormai a pieno titolo parte del dibattito pubblico, giustamente. Occorre però porsi delle domande: è possibile una transizione ecologica che sia solamente energetica? Siamo davvero convinti che chi ha creato la crisi climatica debba stare al tavolo che promuove la transizione? Noi crediamo che l’unica transizione possibile debba essere democratica, giusta, equa e sostenibile, debba mettere in discussione l’accentramento del potere e della produzione energetica. Crediamo che l’unica transizione possibile debba passare per un cambio del modello energetico e produttivo, in cui le comunità e i territori possano avere voce in capitolo. Serve una trasformazione radicale della società, ripartendo dal basso e dai territori, dalla definizione dei bisogni reali e non basata sulle proiezioni plasmate dalle stesse corporation che oggi controllano il mercato energetico e non solo quello.

I cambiamenti climatici sono ormai una realtà che porta con sé devastazione ambientale, sociale ed economica, soprattutto per le comunità più marginalizzate. Gli impegni dei governi e delle multinazionali finora non sono serviti a contenere il surriscaldamento del Pianeta sotto una soglia di sicurezza stabilita da tempo dalla comunità scientifica. Di contro, promuovono false soluzioni tecnologiche che rimandano il problema o che addirittura lo eludono, come i meccanismi di compensazione delle emissioni, che condannano chi soffre di più per la crisi climatica a sacrificare i propri territori per permettere agli inquinatori di continuare indisturbati le loro attività. È profondamente ingiusto che ancora una volta chi ha generato la crisi ne esca rafforzato senza cambiare il proprio modello di sviluppo, così dannoso e senza pagare il conto per le ferite inferte al Pianeta.

Il collettivo

ReCommon funziona come un collettivo di 10 persone, un assetto orizzontale basato sul consenso, con parità di salario, perché la critica al potere va coniugata con un modello organizzativo coerente.

Benedetta Carratelli

Investor Engagement

Carlo Dojmi di Delupis

Design e comunicazione

Daniela Finamore

Campaigner finanza e clima

Marta Francescangeli

Fundraising e comunicazione

Elena Gerebizza

Campaigner energia e infrastrutture

Luca Manes

Media relation e comunicazione

Executive Manager

Simone Ogno

Campaigner finanza e clima

Eva Pastorelli

Campaigner finanza pubblica e multinazionali

Laura Sena

Amministrazione e relazioni con i Soci

Financial manager

Filippo Taglieri

Campaigner energia e infrastrutture

Antonio Tricarico

Campaigner finanza pubblica e multinazionali

Fundraising and programs manager

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    Rapporto annuale 2022

    Non si fermano le nostre campagne sulle compagnie estrattive come Eni e Snam e le banche fossili. Ma iniziamo a svelare il ruolo di oscure ma potenti istituzioni pubbliche come la SACE. È online il nostro annual report del 2021.

    Scarica e leggi il report