Poco dopo l’escalation della guerra in Ucraina mossa dalla Federazione russa, il dibattito politico a livello nazionale ed europeo ha iniziato a interessarsi della tassazione degli extraprofitti in capo agli operatori del mercato energetico. Questa misura andrebbe a favore delle fasce di popolazione più in difficoltà a causa delle ricadute economiche e sociali della crisi energetica, dovuta all’innalzamento dei prezzi del gas. Un rialzo dovuto a una serie di fattori complessi e tra loro connessi, quali l’aumento della domanda a seguito della fine della pandemia Covid-19, l’invasione dell’Ucraina e il conseguente razionamento del gas russo.
Come riportato dal report di ReCommon “Analisi degli extra-profitti nel settore oil&gas europeo”, già a partire dal terzo trimestre del 2021 le compagnie energetiche, in particolare quelle petrolifere, hanno iniziato a lucrare sul prezzo del gas. Da un confronto fra i numeri del primo semestre 2022 con quelli del primo semestre 2019, risulta che gli extraprofitti di 6 compagnie petrolifere europee (BP, Eni, Equinor, Repsol, Shell, Total) ammontassero a un totale di 74,55 miliardi di dollari. Una cifra rilevante, nei cui confronti i tentativi di tassazione a livello nazionale risultano ancora poco incisivi.
Meno presente nel dibattito pubblico e nell’agenda politica è la questione degli extraprofitti incassati dalle banche. In che modo queste istituzioni finanziarie sono legate al complesso tema degli extraprofitti?
In primo luogo, è importante ricordare che le grandi corporation dell’industria fossile, tra cui quelle che stanno guadagnando eccedenze sul normale profitto, non potrebbero sopravvivere se non avessero fondi da cui attingere per portare avanti il proprio business. Dal 2016 al 2021 le principali banche mondiali hanno concesso all’industria dei combustibili fossili prestiti per 4.600 miliardi di dollari. Tra queste istituzioni finanziarie sono presenti anche le due grandi banche italiane, Intesa Sanpaolo ed UniCredit, che continuano a foraggiare l’espansione dell’industria fossile. A titolo esemplificativo, tra il 2016 ed il 2021 le due banche italiane hanno finanziato le 6 compagnie petrolifere sopramenzionate per un totale di 8,5 miliardi di dollari, di cui più di 1 miliardo sotto forma di investimenti[1]. Ecco che le banche italiane, e in modo particolare Intesa Sanpaolo che si distingue per essere una investment bank, sono tra quelle che stanno maggiormente beneficiando dei profitti extra delle compagnie oil&gas, eccedenze che vengono distribuite agli azionisti – come appunto Intesa – sotto forma di dividendi o programmi di riacquisto di azioni.
Oltre che ad arricchirsi con la lauta redistribuzione dei dividendi, dalle analisi di mercato emerge sempre più che anche gli stessi istituti di credito stiano realizzando extraprofitti, beneficiando dell’aumento dei tassi di interesse per contenere l’inflazione. In linea con una politica monetaria espansiva che ha l’obiettivo di favorire l’immissione di liquidità nel sistema, da circa dieci anni la Banca Centrale Europea (BCE) concede agli istituti di credito di acquistare denaro a tassi di interesse nulli o addirittura negativi (programma Tltro). Allo stato attuale, con il rialzo dei tassi di interesse deciso dalla BCE per frenare l’inflazione galoppante, le casse degli istituti di credito registrano valori particolarmente positivi grazie alla differenza tra il costo del denaro acquistato dalla BCE e gli interessi incassati dai clienti.
Si tratta di profitti risk free che impattano molto positivamente l’andamento delle banche sul mercato. Un trend positivo riconosciuto dallo stesso Andrea Orcel, amministratore delegato di UniCredit, che ha recentemente affermato come il 2022 per le banche “sarà il miglior anno mai avuto da tanto tempo. Non è giusto, c’è una guerra, ma è una constatazione”.
Mentre la Spagna già da luglio ha annunciato una tassa sugli extraprofitti delle banche, anche la stessa BCE inizia a prendere consapevolezza della questione, tanto che François Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia e membro del consiglio direttivo della BCE, ha insistito sul fatto che le banche dovrebbero restituire i 2100 miliardi concessi come “pasto gratis” dalla BCE, che stanno portando alle stesse profitti privi di rischio per oltre 25 miliardi di euro.
In attesa che la Banca Centrale Europea dia un indirizzo repentino, decisivo e vincolante in tal senso, l’inflazione continua a galoppare, i tassi di interesse a crescere, le banche festeggiano e le famiglie continuano a indebitarsi per far fronte al rincaro generalizzato di beni e servizi. L’attuale crisi energetica, nelle sue ricadute in termini economici e sociali, sta rivelando ancora una volta le falle di un sistema ingiusto che salvaguardia gli interessi delle élite fossili e dei suoi finanziatori, mentre colpisce in maniera spropositata le fasce più vulnerabili della popolazione. Se anche l’Italia andasse in questa direzione, Intesa Sanpaolo e UniCredit avrebbero molti soldi da “restituire” alla collettività.
[1] I dati, aggiornati al 01.01.2022, sono stati elaborati da ReCommon sulla base della ricerca finanziaria condotta da Profundo B.V (http://www.profundo.nl/).