Il gas maltese è un corto-circuito continuo, oltre a essere un paradigma di come lo sfruttamento e l’impiego di questa risorsa fossile porti con sé risvolti drammatici. Partiamo da quel che è accaduto nel recente passato: nel sud dell’isola di Malta si realizza una centrale a gas, la Delimara Power Station, e approda un rigassificatore. Il matrimonio con il gas è però condizionato da torbidi affari tra imprenditori locali, politici del Partito Laburista, allora al governo, e i vertici dell’azienda fossile di stato dell’Azerbaigian, la Socar. Accordi malsani, segnati da mazzette e interessi personali, non certo intesi per il bene comune. Un quadro a tinte fosche, che viene scoperto da Daphne Caruana Galizia. Una infaticabile giornalista d’inchiesta che paga con la vita i frutti del suo lavoro. Il 16 ottobre del 2017 viene fatta saltare in aria da 400 chili di tritolo nascosti sotto il sedile della sua Peugeot 108. Il figlio di Daphne, Matthew, ci ha detto che la madre “aveva trovato la pistola fumante della corruzione. C’era una società di comodo, un’impresa usata solo per veicolare tangenti e nascondere denaro a Dubai per i politici maltesi. La scoperta di questa società, a nostro avviso, ha portato direttamente al suo assassinio”. Tuttavia lo sdegno planetario che ha fatto seguito al barbaro omicidio non ha frenato il business del gas.
Torniamo quindi al presente. Nei pensieri dei decisori politici e delle grandi multinazionali del settore, con l’italiana Snam in primissima fila, c’è un nuovo gasdotto che collegherà Gela, in Sicilia, con Malta, proprio nei pressi della già citata centrale. Si chiama Melita Gas Pipeline, sarà lungo 159 chilometri e in grado di trasportare fino a 2 miliardi di metri cubi di gas metano l’anno. Si badi bene, gas che arriverà dal nostro Paese, attualmente alla disperata ricerca di nuovi contratti per sostituire la forte dipendenza dal gas russo. I lavori non sono ancora iniziati, dopo la valutazione d’impatto ambientale in Italia sono state segnalate problematiche relative ai fondali di Gela che sarebbero fortemente inquinati anche con presenza di materiale radioattivo.
Secondo i proponenti, però, la costruzione dovrebbe partire a inizio 2023, per una consegna dell’opera prevista nel 2024. Nel 2021 aveva chiesto delucidazioni a Snam in occasione della sua assemblea degli azionisti. “L’opera, sostenendo il phase out dal carbone della generazione elettrica maltese, ha come obiettivo primario la riduzione delle emissioni climalteranti e inquinanti”, era stata la risposta. A Malta però non si brucia carbone, né è mai stato usato in passato. Così come non si produce idrogeno, che nei piani all’insegna del greenwashing dei sostenitori del progetto dovrebbe sostituire il gas nei decenni a venire. Ricapitolando, si costruisce l’ennesimo gasdotto in barba all’emergenza climatica in un contesto inquinato da corruzione e malaffare e visto che il gioco vale la candela solo se quei tubi si usano per qualche decade, si prevede già di ipotizzare un impiego dell’idrogeno, sul quale le certezze sono scarse, scarsissime. Addirittura lo scambio dovrebbe essere “bi-direzionale”, ovvero l’Italia darà a ricevere idrogeno da Malta.
Siamo nuovamente davanti allo stesso scenario: il gas fossile porta con sé corruzione, morte e distruzione climatica. Malta, come ci ha raccontato Matthew Caruana Galizia, è uno degli esempi più eclatanti: tutti lo sanno, ma nessun governo fa niente per uscire da questo circolo vizioso. Ogni manovra preannuncia l’uscita dalle fossili, poi però allunga la vita al metano. Chi distrugge le vite, la natura, chi crea sempre maggiori disuguaglianze deve pagare per le sue responsabilità.