Mozambico, dove il gas è più importante della crisi umanitaria

Una tragedia senza fine, che i media italiani sembrano voler ignorare. È quanto sta accadendo da oltre un lustro nella regione mozambicana di Cabo Delgado, nel nord del Paese. Lì è in atto un’insurrezione armata guidata dal gruppo Al-Shabaab, che in questo lasso di tempo ha causato oltre 4mila vittime e 800mila sfollati. Da luglio c’è stata una forte impennata degli attacchi, con 120 azioni e almeno 200 morti, tra le quali la suora comboniana Maria De Coppi, uccisa nel villaggio di Chipene.

Eppure da noi il Mozambico ha fatto notizia soprattutto perché tappa fondamentale del tour del gas del nostro governo e del suo ascaro più importante, la multinazionale fossile Eni. Sì, perché proprio nell’area di Cabo Delgado e nelle profondità marine antistanti di gas se ne trova una quantità spaventosa. Eni è già attiva con i due progetti Coral South e Mozambique LNG, ma sta spingendo per aggiungere alla corona il gioiello di Rovuma LNG. Valore stimato, 30 miliardi di dollari, con tanto di realizzazione di un impianto su terraferma per il processamento e l’export del gas proveniente da 24 pozzi sottomarini. La produzione di gas si aggirerà sui 15 milioni di tonnellate l’anno. LNG è l’acronimo inglese di gas naturale liquefatto.

Siccome il Mozambico è troppo lontano, il gas va mutato allo stato liquido per essere trasportato e poi ritrasformato una volta immagazzinato sulle navi gasiere sulle sponde del Mediterraneo – in Italia ce ne sono attualmente tre, con ulteriori due a Ravenna e Piombino presto pronte a vedere la luce. Il paradosso ricorrente in Africa, così come in altre regioni del Pianeta, è che dove ci sono queste immense risorse imperversano la povertà economica e i conflitti. Cabo Delgado è una sorta di drammatico archetipo. Ma è sempre più strategico per la “sicurezza energetica” europea, tanto che il gas del giacimento Eni di Coral South è pronto per essere trasferito da una nave della compagnia britannica BP verso l’Europa. Il primo di numerosi carichi, si presume. E per far sì che non ci siano “intoppi” di alcun genere, è notizia recentissima che l’Unione europea stia seriamente valutando l’ipotesti di finanziare le truppe ruandesi presenti sul campo in Mozambico per fermare gli attacchi di Al-Shabaab. A essere maliziosi verrebbe da pensare che lo scopo, più che umanitario, sia ispirato alla tutela degli interessi del Vecchio Continente, affamato di energia.

Se l’altro gigante dell’oil&gas in primissima fila in Mozambico, la francese Total, nei momenti più bui del conflitto ha almeno fermato le operazioni, l’Eni è sempre rimasta attiva. A darle manforte, e corposo sostegno finanziario, ci sono state le più importanti banche italiane, UniCredit e Intesa Sanpaolo, e soprattutto l’assicuratore di Stato, la poco conosciuta ma ricchissima SACE. Amica del settore fossile, cui destina circa un quinto dei suoi fondi annuali, la SACE ha già garantito per 700 milioni di dollari proprio Coral LNG e per 950 Mozambique LNG (in sintesi, se qualcosa va storto si farà ampio uso di soldi pubblici), e si appresta a “sposare” il mega-progetto di Rovuma LNG. Per la verità all’ultima Conferenza sul Clima tenutasi a Glasgow nel 2021 la SACE si era impegnata a dire basta con gli aiuti a questo tipo di opere entro il 2023. Ma non ha ancora preso un impegno formale al riguardo e soprattutto “il contesto attuale” richiede questo tipo di operazioni. Che a Cabo Delgado i massacri continuino e forse ci sia da rivolgere il pensiero anche ai suoi abitanti appaiono dettagli trascurabili.  

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