Basta soldi pubblici e privati a chi finanzia la crisi climatica

Lo sfruttamento dei combustibili fossili è alla base della crisi climatica che stiamo vivendo. Il gas è un combustibile fossile, quindi dovremmo smetterla di estrarlo dalle profondità dei mari e della terra. Il sillogismo non è (solo) nostro, ma anche e soprattutto di soggetti autorevoli come il Segretario Generale della Nazioni Unite António Guterres o l’Agenzia Internazionale dell’Energia. Ma se già prima dell’inizio della guerra in Ucraina si dipingeva il gas come la fonte energetica di transizione di cui non si poteva fare proprio a meno – almeno così la “vendevano” multinazionali del settore e governi ‘conniventi’ – ora con la crisi in atto il dibattito internazionale si è spostato su dove trovare il gas che possa sostituire le forniture russe (il deludente esito della COP27 in Egitto sembra confermare questa ‘tendenza’).

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Va detto che gli impatti del gas sul clima globale sono emersi in tutta la sua gravità solo negli ultimi anni. Ma non possono essere sottaciuti. Recenti studi scientifici hanno iniziato a quantificare le emissioni fuggitive di metano dagli impianti a gas e hanno dimostrato che il loro impatto climalterante è oltre 100 volte quello della CO2 su un arco di 10 anni e 86 volte su un arco di 20. Per ‘vedere’ le emissioni fuggitive con una telecamera a infrarossi siamo andati in viaggio per l’Italia con i giornalisti di Presa Diretta, che hanno raccontato la vicenda in un lungo servizio andato in onda lo scorso anno.

Quindi se l’impatto ambientale nella fase dell’estrazione è abbastanza intuitivo e quello nella fase di processamento sottovalutato ma ben presente, c’è una fase di trasporto tutt’altro che banale. Lì dove è possibile, si realizzano gasdotti lunghi migliaia di chilometri come il famigerato TAP.

Tanto per farsi un’idea, la Snam, una delle principali società di infrastrutture energetiche al mondo, è prima in Europa per estensione della rete di trasporto con oltre 41mila chilometri di tubi. Ma il gas si può anche ridurre allo stato liquido e trasportare via nave. Anche in questo caso Snam è leader nel Vecchio Continente con una capacità di stoccaggio di gas naturale di oltre 20 miliardi di metri cubi. Questa seconda tipologia di trasporto prevede quindi l’impiego dei rigassificatori, ormai ben conosciuti dalle nostre parti, e che nessuno a Piombino o Ravenna vuole proprio a causa dei loro impatti ambientali. Insomma, la cosiddetta fonte di transizione ha una filiera che sembra fatta apposta per acuire la crisi climatica. Ma non andatelo a dire ai nostri governanti e ai loro sodali nelle compagnie energetiche, così impegnati negli ultimi mesi a battere i quattro angoli del Pianeta nel difficile compito dello shopping del gas.

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