L’opacità di SACE sul clima non ci guiderà verso la transizione ecologica 

Al termine del G7 ospitato in Germania e in occasione della London Climate Action Week, è stato pubblicato un nuovo rapporto internazionale dal titolo “Turning Pledges into Action”, che mette in luce quanto le istituzioni finanziarie pubbliche siano in ritardo rispetto agli impegni per il clima presi dai governi nazionali in occasione della COP26 di Glasgow.

Lo studio, curato dall’International Institute for Sustainable Development, Oil Change International e Tearfund, a cui ha contribuito anche ReCommon, si concentra in modo particolare su quei Paesi e istituzioni finanziarie internazionali che si sono impegnati a porre fine ai finanziamenti pubblici internazionali diretti a tutti i combustibili fossili entro la fine del 2022. A soli 6 mesi dalla scadenza, la maggior parte dei firmatari deve ancora pubblicare politiche nuove o aggiornate di esclusione dei combustibili fossili, in linea con gli impegni presi in ambito Nazioni Unite.

Al banco degli imputati siedono sicuramente le agenzie di credito all’esportazione (comunemente note con l’acronimo ECAs, export credit agencies), che svolgono il ruolo cruciale di coprire dai rischi politici e commerciali le multinazionali di un determinato paese nel loro export e investimenti esteri, soprattutto in paesi considerati a rischio. Come rilevato dal rapporto, sono soprattutto queste a dover colmare il divario tra impegni presi e azioni concrete, in quanto fonte di oltre l’80% del sostegno ai combustibili fossili nel periodo 2018-2020 e non presentando strategie che possano portare la finanza pubblica globale a essere allineata con l’Accordo di Parigi.

In questo scenario di mancata corrispondenza tra parole e fatti spicca l’Italia, che ha aderito all’ultimo minuto all’iniziativa di Glasgow, nella figura di SACE, la nostra agenzia pubblica di credito all’esportazione. La SACE è recentemente passata nell’alveo del ministero dell’Economia e delle Finanze, il cui curriculum “fossile” rispecchia appieno il profilo della finanza pubblica emerso dal report. Nel triennio 2018-2020, l’agenzia italiana si è piazzata al terzo posto nel finanziamento a petrolio e gas, dietro solo a Canada e Stati Uniti. Un dato allarmante che però non stupisce, dal momento che l’agenda della SACE è improntata al sostegno di progetti fossili devastanti. Emblematiche in tal senso sono le valutazioni di finanziamento ad Arctic LNG-2, megaprogetto di liquefazione di gas nell’Artico Russo, e a EACOP, l’oleodotto riscaldato più lungo al mondo, che dovrebbe tagliare in due Uganda e Tanzania. Per il primo la valutazione è sospesa come conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina, mentre riguardo a EACOP ha deciso di tirarsi indietro dopo importanti pressioni da parte della società civile italiana e internazionale.

Solo pressioni e circostanze esterne hanno guidato queste decisioni, ma non emerge alcuna volontà politica di abbandonare i combustibili fossili parte della nostra agenzia di credito all’esportazione che, fra il 2016 ed il 2021, ha posto garanzie al settore oil&gas per un totale di 13,7 miliardi di euro. Ne è ulteriore prova il fatto che l’agenzia non abbia mai reso chiare e dettagliate le informazioni in merito alla propria strategia sul clima, che è quella che dovrebbe anche condurre all’implementazione degli impegni presi alla COP26 di Glasgow. Un sommario della Climate Change Policy, introdotta solo nel maggio del 2021, viene riportato nella Dichiarazione non Finanziaria 2021 di SACE. Da quel poco che si può leggere si tratta di impegni limitati, tanto nel settore del carbone che del petrolio e gas: manca l’indicazione di tempistiche, manca una strategia per l’abbandono dei combustibili fossili, mancano i dettagli sulla sua implementazione. Insomma, gli impegni ci sono ma, de facto, non sono di pubblico dominio. La poca affidabilità degli impegni internazionali non vincolanti, come quello preso a Glasgow in merito allo stop dei finanziamenti pubblici internazionali ai combustibili fossili, viene confermata dalla mancanza di volontà politica, trasparenza e strategia delle istituzioni finanziarie pubbliche che dovrebbero svolgere un ruolo cruciale nel processo di transizione energetica e fungere da leva anche per le istituzioni private. Un ruolo messo in discussione soprattutto dagli attori della società civile dei paesi economicamente meno avanzati. Attori che si interrogano su quale sia la reale volontà delle agenzie di credito all’esportazione, SACE inclusa, di svolgere un ruolo nella giusta transizione energetica a livello globale, dato il loro costante sostegno all’industria fossile che ha promosso a livello internazionale progetti devastanti per il clima, l’ambiente e le persone.

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