La diatriba legale tra ReCommon e la SACE

L’oggetto del contendere 

Qualche giorno fa, è partita con destinazione Europa la prima nave carica di gas liquefatto proveniente dal terminal galleggiante di Coral South, operato da Eni a largo della costa del Nord del Mozambico. Coral South è il progetto che ha aperto la strada all’Eldorado dello sviluppo dell’industria del gas nella provincia di Cabo Delgado. Un secondo progetto, il Mozambique LNG, è in costruzione sulla terraferma sotto la guida della Total, e con l’italiana Saipem tra i principali contractor.

Le società italiane sono garantite dall’assicuratore pubblico del governo italiano, SACE, coinvolte in questi due rischiosi progetti per circa 1,5 miliardi di euro. Le multinazionali italiane che operano in paesi a rischio non trovano assicuratori privati per garantirsi contro rischi politici o di cambio della legislazione a loro svantaggio, da qui nasce la necessità di avere la copertura della SACE che è al 100 per cento di proprietà del ministero dell’Economia e delle Finanze.

Un decennio fa, la provincia di Cabo Delgado viveva in pace. Le comunità locali erano economicamente povere ma avevano abbastanza per il proprio sostentamento. L’arrivo dell’industria fossile ha alimentato un conflitto armato che ha lasciato migliaia di morti sul campo e quasi un milione di rifugiati, al punto che il progetto Mozambique LNG è stato sospeso per forza maggiore.

Con una battaglia legale iniziata nell’ottobre 2021, ReCommon si è battuta per ottenere rilevanti informazioni ambientali su cui si è basata la valutazione dei due progetti da parte di SACE prima della concessione delle garanzie finanziarie in favore di Eni e Saipem.

Perché bisogna richiedere le informazioni a un’istituzione pubblica come SACE, non dovrebbero già essere di dominio pubblico?

SACE è un’istituzione pubblica, ma si trincera dietro la confidenzialità commerciale delle informazioni riguardanti il sostegno finanziario che offre alle multinazionali italiane operanti all’estero, oppure alle banche commerciali che le finanziano. Così le operazioni finiscono per non essere rese pubbliche, neanche dopo che i progetti e le coperture assicurative sono state approvate.

Ma oramai è uno standard a livello internazionale quello di rendere pubbliche le informazioni almeno in materia ambientale riguardanti i progetti da finanziare. Possibile che SACE ignori anche questo?

Raccomandazioni internazionali definite in sede OCSE – ossia l’organizzazione delle economie avanzate, che include l’Italia – hanno richiesto che le agenzie di credito all’esportazione nazionali quali SACE informino il pubblico degli studi di impatto ambientale di quelle operazioni che rientrano nei parametri finanziari decisi dall’OCSE e che hanno un elevato impatto sull’ambiente 30 giorni prima della loro approvazione. Ma poi l’approvazione delle singole operazioni viene comunicata solo con grande ritardo, e solo quella dei progetti che SACE ritiene avere un elevato impatto ambientale.

Facendo l’esempio del Mozambico, se SACE decide di assicurare Eni o Saipem contro i rischi di nuovi progetti di gas liquefatto in Mozambico, che cosa comunica al pubblico?

Prima dell’approvazione dei progetti, SACE informa sul suo sito web che sta considerando una garanzia, non dice però il nome dell’esportatore coinvolto, né l’importo della garanzia richiesta. Nella stessa comunicazione SACE segnala che è disponibile uno studio sull’impatto ambientale del progetto commissionato dalle società proponenti, ma non rende pubblica nessuna analisi propria o dei consulenti dei finanziatori. Tale valutazione interna di SACE è fondamentale, poiché è quella su cui si basa l’analisi ultima dei rischi finanziari e non collegati al progetto e quindi l’approvazione con eventuali condizioni che i proponenti devono rispettare. In soldoni, solo da queste analisi della cosiddetta due diligence interna si può capire se il finanziatore pubblico ha giocato un ruolo nell’interesse pubblico nel sostenere finanziariamente un soggetto privato.

SACE basa la sua valutazione solo sui documenti che pagano le società proponenti a presunti consulenti indipendenti?

Nei progetti più grandi, come questi per lo sviluppo del gas in Mozambico, tutti i finanziatori del progetto commissionano anche una loro revisione degli studi prodotti dai consulenti dei proponenti del progetto. Revisione esterna che rimane segreta. Quindi SACE fa una sua revisione interna delle raccomandazioni incluse in questo studio, da cui distilla eventuali condizioni ambientali da includere negli accordi finanziari. Il tutto anche tenuto rigidamente segreto, pur se SACE è un’istituzione interamente sotto il controllo pubblico e che agisce nell’interesse pubblico sostenendo l’economia italiana nel mondo.  Ma di fatto SACE si imbarca in progetti dai rischi, anche finanziari, elevati. Senza parlare degli impatti ambientali, sociali e dei diritti umani sul campo.

Come è possibile che nessuno ad oggi avesse provato a richiedere informazioni a SACE sulla revisione della valutazione ambientale dei singoli progetti finanziati?

Ci sono state azioni legali mosse da esportatori che hanno avuto problemi con SACE per la mancata copertura, o il mancato indennizzo, chiedendo la condivisione dei documenti su cui si è basata la decisione contro di loro. Ma nessun soggetto di interesse pubblico, come l’associazione ReCommon, aveva mai osato chiedere, anche nelle sedi giudiziarie, la revisione effettuata da SACE di alcune operazioni specifiche, in particolare in materia ambientale.

Come ha reagito SACE quando ReCommon ha richiesto i documenti con una domanda di accesso agli atti in materia ambientale?

Non ha risposto entro i 30 giorni previsti dalla legge.

Quindi che cosa ha fatto ReCommon?

Ha presentato ricorso alla Commissione per l’Accesso ai Documenti Amministrativi (CADA) presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il primo livello esistente per appellarsi contro un diniego o, come nel caso specifico, un silenzio diniego da parte dell’amministrazione interpellata. La CADA non è un vero e proprio tribunale, ma un meccanismo extra-giudiziale.

Che cosa ha detto questa Commissione?

Ha dato ragione a SACE: pur ammettendo che l’informazione richiesta fosse ambientale, la Commissione ha trovato il ricorso infondato perché prevalerebbe la riservatezza commerciale delle informazioni richieste rispetto all’interesse pubblico di ReCommon.

Se non si è soddisfatti della decisione della CADA, a chi altro ci si può appellare?

ReCommon ha deciso di muovere un ricorso giudiziale al Tribunale Amministrativo Regionale di competenza, ossia quello del Lazio.

La posizione di SACE…

Ha attaccato ReCommon in Tribunale dicendo che non aveva la legittimità di richiedere le informazioni, che il suo era un tentativo di controllo generalizzato sull’operato di SACE e che le informazioni richieste includevano dati sensibili, anche di persone fisiche, da tutelare.

…e quella del TAR

Ha dato ragione a ReCommon su tutta la linea, ribaltando la decisione della CADA: secondo la legge europea di accesso agli atti in materia ambientale ReCommon è pienamente legittimata a fare tale richiesta, anzi non dovrebbe neanche giustificare la sua legittimazione ad agire. Poi il TAR ha stabilito che i documenti sono di materia ambientale e rientrano nell’ambito della legge, e che SACE doveva dare a ReCommon i documenti richiesti eventualmente oscurando solo le poche parti sensibili.

Una sentenza che fa giurisprudenza

Per la prima volta il TAR ha riconosciuto l’applicazione della legge nei confronti di un’istituzione finanziaria pubblica per quel che concerne i documenti della cosiddetta due diligence ambientale delle operazioni da finanziare. Un precedente davvero importante, come riconosciuto pubblicamente anche da membri della Commissione valutazione impatto ambientale del ministero dell’Ambiente.

La SACE ha rispettato la sentenza e ha inviato i documenti?

No, nonostante il Tribunale avesse addirittura affermato che la SACE aveva 40 giorni per ottemperare a quanto richiesto, pena la possibilità di nominare un commissario che andasse da SACE a prendere i documenti per conto di ReCommon. E questo è quello che ReCommon ha richiesto al TAR di ordinare.

La SACE ha fatto appello?

Sì, al Consiglio di Stato contro la sentenza del TAR. Poi quando ha visto che ReCommon non demordeva, poiché pretendeva dal TAR la nomina del commissario, ha richiesto al Consiglio di Stato una sospensiva sulla ostensione dei documenti.

Singolare che non abbiano chiesto la sospensiva subito quando hanno fatto appello. Evidentemente non pensavano che ReCommon potesse osare così tanto. Che cosa ha deciso il Consiglio di Stato sulla richiesta sospensiva di SACE?

Ha dato ragione a ReCommon. L’ordinanza del Consiglio di Stato è scaricabile qui, come anche la sentenza in primo grado del TAR.

I documenti ci sono stati consegnati?

Non ancora. Il TAR il 7 dicembre nominerà il commissario se SACE non li spedisce prima. Quindi il Consiglio di Stato si dovrà ancora pronunciare nel merito dell’appello per rendere definitivo o meno l’accesso ai documenti.

Perché questo caso ha una portata storica?

Il ricorso di ReCommon ha fatto finalmente giurisprudenza contro la posizione di SACE. Così in futuro ogni cittadino che vorrà avere accesso alla documentazione ambientale di una determinata operazione sostenuta da SACE, inclusa la sua revisione interna della valutazione ambientale, potrà richiederla menzionando la sentenza. E difficilmente SACE potrà dire di no.

E per il caso specifico del Mozambico che significa questa possibile vittoria giudiziale?

Avere i documenti di SACE è molto importante per ReCommon e i suoi partner, inclusi quelli in Mozambico. Una vera e propria guerra è esplosa in seguito alle tensioni crescenti nell’area, esarcebate dai progetti a gas, e ha portato alla sospensione del progetto Mozambique LNG, guidato da Total, con il coinvolgimento dell’italiana Saipem. Sono intercorsi ben due anni dalla pubblicazione tra la valutazione originaria del progetto pubblicata da Sace nel 2017 e la sua approvazione nel 2019. È lecito sapere quanto SACE, che era informata delle tensioni del paese, abbia valutato tutti i rischi e gli impatti del progetto. Incluso quello climatico. Nonché è cruciale conoscere cosa dicevano a SACE i regolari rapporti di monitoraggio del progetto svolti dopo l’approvazione finanziaria di questo. Se il progetto fallisse, Saipem, che è assicurata da SACE, potrebbe chiedere un indennizzo di svariate centinaia di milioni di euro all’istituzione pubblica. Quello che non possono fare le comunità locali impattate del Mozambico.

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