Quest’anno l’assemblea degli azionisti di Enel, il principale gruppo elettrico italiano, è passata sotto silenzio. Svoltasi a Roma lo scorso 19 maggio, deve la “poca visibilità” alla scelta di tenerla per il terzo anno di fila a porte chiuse e senza partecipanti – come fatto da tutte le imprese quotate italiane in nome di un’emergenza Covid, seppur terminata a fine marzo. Di fatto l’assemblea di Enel è stata così un semplice atto di ratifica del bilancio 2021 e di distribuzione dei dividendi.
Nelle ultime settimane il gruppo guidato dal 2014 da Francesco Starace è finito nell’occhio del ciclone per la sua presenza attiva in Russia e l’intenzione di espandere il suo business nel Paese, ridimensionatasi solo dopo l’invasione russa in Ucraina. Da allora Enel sta cercando di vendere la sua controllata russa, anche se l’operazione non risulta facile, viste le sanzioni applicate dall’Occidente su ogni operazione finanziaria nel Paese.

Ma la risposta di Enel alla crisi energetica, già esplosa prima della guerra in Ucraina e poi acuitasi, è in realtà stata molto più ampia. In primis, a fronte di un prezzo del gas schizzato alle stelle e della crisi delle bollette per una buona parte dei suoi clienti, Enel ha dovuto rivedere i suoi piani di conversione delle principali centrali a carbone a gas, da Brindisi a Civitavecchia, fino a La Spezia. Enel è riuscita a strappare i sussidi del capacity payment – ossia per operare come una centrale “di riserva” sempre pronta ad entrare in funzione – solamente per la centrale di Fusina, che sarà quindi convertita a gas nella martoriata “zona di sacrificio” di Marghera. Ma allo stesso tempo oggi questa centrale, così come Brindisi e Civitavecchia, stanno funzionando a pieno regime a carbone per aiutare nella “diversificazione” dal gas russo. Con l’ultimo decreto “Aiuti” il governo Draghi ha concesso ulteriori deroghe ambientali alle tre centrali, così come a quella di A2A a Monfalcone, che avrebbe dovuto chiudere entro la fine del 2022. Oggi il piano di chiusura sembra in alto mare. Pure per Monfalcone sono arrivati i sussidi per la capacità per essere convertita a gas, così come per la nuova centrale di Ostiglia della ceca EPH vicino a Mantova. Insomma, per quanto arginata dagli inattesi sviluppi internazionali e dalla crisi del gas, l’idea delle utility presenti in Italia di scommettere su nuove centrali a gas, seppur ridimensionata, è ancora viva. Esplicativo che per quanto riguarda l’asta del capacity payment inerente l’anno 2024, il 60 per cento dei sussidi sono stati assegnati a impianti a gas, di cui molti già esistenti.
Nonostante lo stigma sul gas vista la crisi con la Russia e il suo prezzo elevato, Enel ha fatto anche un’apertura alla possibilità di realizzare un rigassificatore a Porto Empedocle in Sicilia. Sollecitata dalle domande pre-assembleari di ReCommon, in qualità di azionista “critico”, la società ha risposto di aver solo messo a disposizione del governo il progetto che in passato aveva avuto la valutazione di impatto ambientale approvata dal ministero dell’Ambiente. Il recente piano della Commissione Europea, RePowerEU, finalizzato al progressivo affrancamento dall’import di gas russo, ha aperto alla possibilità di usare i fondi del Recovery and Resilience Fund per nuove infrastrutture a gas fossile, facendo una significativa marcia indietro sugli obiettivi green. Enel ha confermato agli azionisti che in Italia uscirà dal carbone entro il 2025, mentre a livello globale la scadenza è il 2027. Si direbbe un colpo al cerchio e uno alla botte, per un gruppo di portata mondiale leader delle rinnovabili e determinato a uscire dai fossili al 2040, ma che nel frattempo continua a flirtare con qualche nuova centrale e gas e, perché no, anche con un rigassificatore da un miliardo di euro. Finché lo Stato continuerà a foraggiare investimenti e progetti del genere.