Non appena la Russia ha invaso l’Ucraina, alimentando l’emergenza delle forniture di gas e petrolio per l’Europa e l’Italia, industriali, esponenti del governo e commentatori hanno avuto una sorta di riflesso incondizionato: riapriamo e mandiamo a tutta forza le centrali a carbone. Fa nulla se si era detto di chiuderle entro il 2025. La transizione ecologica e il clima se ne faranno una ragione. Anche il presidente del Consiglio Mario Draghi non è stato da meno e ha messo subito l’opzione sul tavolo, almeno per il breve termine.
Dopo la sbornia di affermazioni dettate dall’emozione della guerra su come emanciparci dal ricatto energetico di Vladimir Putin, è emersa una realtà ancora più scomoda: la gran parte del carbone da vapore – quello metallurgico in realtà è una percentuale minore di tutto l’import – che arriva in Italia viene proprio dalla Russia! Secondo i dati del 2020 si tratta di quasi l’80 per cento, circa 3,5 milioni di tonnellate l’anno. Gran parte del carbone russo è estratto molto lontano, nella regione del Kuzbass a est del Kazakistan, e mosso col treno verso l’Europa. Ma anche nel conteso Donbass in Ucraina si estrae del carbone. Allo stesso tempo non va dimenticato che il prezzo del carbone ha avuto un’impennata di quasi il 400 per cento in un anno, raddoppiando dall’inizio del 2022.
Con il passare dei giorni il governo ha corretto il tiro, sottolineando come il piano riguarderebbe gli impianti ancora in funzione, senza il bisogno di riattivare quelli già chiusi come le centrali Enel a La Spezia e Fusina, dove la società vorrebbe installare nuove centrali a gas. Un po’ più incerto cosa potrebbe succedere per quella di A2A a Monfalcone, in via di chiusura perché si vuole passare a gas. In Italia, però, le due centrali a carbone “giganti” sono ancora funzionanti. Si trovano a Brindisi e Civitavecchia, sono sempre targate Enel e hanno creato da decenni a questa parte delle “zone di sacrificio” per la salute delle popolazione locali. Insieme hanno una potenza installata di 4,000 MW, se si esclude un gruppo da 660 già chiuso a Brindisi. Almeno a Civitavecchia Enel aveva appena abbandonato i piani di costruire una nuova centrale a gas, ma ora si teme il ritorno a piena potenza alla polvere nera. Poi andiamo in Sardegna, nel Sulcis, dove esiste una centrale più piccola, sempre di Enel, e quella di Fiume Santo gestita dalla ceca EPH, che vorrebbe anch’essa passare a gas. Ma ora l’emergenza imporrebbe di spingere sull’acceleratore e produrre più energia elettrica dal carbone. Rimane da vedere con quale carbone, visto che l’import da Colombia, Indonesia e Stati Uniti è diminuito lasciando spazio a quello russo, forse anche per motivi economici.
In sintesi, a Enel verrebbe chiesto dal governo di spingere sul carbone: una nemesi storica visto che il gruppo guidato da Francesco Starace si definisce leader mondiale nella decarbonizzazione – con il suo impegno di uscire dall’utilizzo di ogni combustibile fossile entro il 2040. Lo scorso anno in occasione dell’assemblea degli azionisti ReCommon è riuscita a carpire informazioni importanti sull’import del carbone dalla Russia. Alla domanda di ReCommon il 20 maggio scorso Enel ha risposto: “Il Gruppo nel 2020 ha importato dalla Russia circa 2,7 milioni di tonnellate di carbone. Gli acquisti sono effettuati con accordi di breve termine della durata compresa tra 1 e 9 mesi e distribuiti su 5 controparti.”
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Se guardiamo alle società russe che esportano carbone con relazioni con Enel, tra le principali spiccano il gruppo SUEK dell’oligarca Andrey Melnichenko che ha lo yacht a vela più grande del mondo dal costo di più di mezzo miliardo di dollari. Nel 2019 Enel ha venduto proprio alla SUEK la sua mega centrale a carbone di Reftinskaya GRES da 3,800 MW nella regione di Sverdlovsk.
Quindi KRU (Kuzbassrazrezugol) è il fornitore ufficiale dell’iniziativa Bettercoal, creata dagli importatori di carbone in seguito alle accuse alle società minerarie di non rispettare di diritti dei lavoratori e delle comunità impattate dalle estrazioni. Enel aderisce a questa iniziativa ed è probabile che importi anche il carbone della KRU. Di rilievo è anche la Siberian Business Union con il suo principale azionista, il miliardario Vladimir Gridin, che è membro del partito Russia Unita di Vladimir Putin. Sull’import dalla controllata SDS Ugor nella regione di Kemerogo nel 2019 Enel dichiarava agli azionisti che aveva raggiunto “un soddisfacente livello di integrazione del livello di sostenibilità… Riteniamo pertanto che non vi siano elementi tali da interrompere le relazioni commerciali con tale fornitore”. Si aggiunga poi CarboOne, uno dei più grandi trader di carbone al mondo, registrato a Cipro e che opera anche in Russia. Ma soprattutto strettamente collegato all’oligarca Iskander Makhmudov accusato sin dal 2017 di riciclare fondi di attività criminali anche tramite CarboOne. All’assemblea degli azionisti del 2019 il gruppo Enel ha ammesso a ReCommon che la controllata spagnola Endesa importava carbone tramite questo trader per la sue centrali di Litoral e Alcudia, oggi chiuse.
L’ad Francesco Starace ha dichiarato che nei prossimi mesi la società ridurrà gli investimenti di Enel Russia fino ad uscire dal paese. Oggi Enel gestisce tre impianti a gas per 5,700 MW e due parchi eolici. Per il momento si continua ancora per un po’ a casa di Putin e non mancherà il carbone degli oligarchi russi nelle centrali italiane.