Oggi, a un mese dall’inizio della Conferenza sul clima in Egitto (COP27), è stata indetta la ‘Giornata internazionale di azione sulla Dichiarazione di Glasgow’. In Italia e numerosi altri paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, Giappone, Regno Unito, Paesi Bassi, Ghana e Belgio, la società civile ha denunciato la mancata applicazione degli impegni presi lo scorso anno alla COP di Glasgow, con manifestazioni dinanzi alle sedi dei rispettivi ministeri dell’Economia e delle Finanza, nonché delle agenzie di credito all’esportazione, al grido di “mantenete le promesse!”.
A novembre 2021, durante la COP26, era stata infatti lanciata un’iniziativa per porre fine, entro il 2022, ai finanziamenti pubblici per progetti all’estero legati ai combustibili fossili. Un’iniziativa che riguarda, appunto, le banche ‘per lo sviluppo’ e, soprattutto, le agenzie di credito all’esportazione (ECAs), cioè gli assicuratori pubblici. Alcuni paesi, con le rispettive agenzie di credito all’export, hanno già ratificato l’impegno preso attraverso politiche vincolanti. Tra questi spiccano il Regno Unito, la Francia, la Danimarca e il Belgio. Fanalini di coda? Stati Uniti, Canada e Italia, i paesi che nel triennio 2018-2020, hanno maggiormente finanziato petrolio e gas attraverso i rispettivi assicuratori pubblici.
Quello italiano si chiama SACE, controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze e fra il 2016 ed il 2021 ha emesso garanzie al settore oil&gas per un totale di 13,7 miliardi di euro, anche grazie al fatto di non avere mai reso chiare e dettagliate le informazioni in merito alla propria strategia sul clima, che è quella che dovrebbe anche condurre all’implementazione degli impegni presi alla COP26 di Glasgow. Un sommario della Climate Change Policy, introdotta a maggio 2021, viene riportato solo nella Dichiarazione non Finanziaria 2021. Da quel poco che si può leggere si tratta di impegni limitati, tanto nel settore del carbone che del petrolio e gas: manca l’indicazione di tempistiche, manca una strategia per l’abbandono dei combustibili fossili, mancano i dettagli sulla sua implementazione. Insomma, gli impegni ci sono ma, de facto, non sono di pubblico dominio.
Il più delle volte, le multinazionali e, di conseguenza, SACE, si inseriscono in contesti attraversati da forti instabilità socio-politiche, acuendole, oppure operano a stretto contatto con i governi che le alimentano. In entrambi i casi l’industria del petrolio e del gas ha un ruolo da protagonista, come nel caso della Federazione russa, del Mozambico e dell’Egitto.
L’esposizione di SACE in Mozambico dovrebbe destare particolari preoccupazioni, essendo un contesto attraversato da conflitti armati, violenza diffusa contro le fasce più vulnerabili della popolazione e lo sfollamento forzato di centinaia di migliaia di persone dalle aree in cui operano le multinazionali energetiche. Finora la SACE ha emesso garanzie per i megaprogetti di gas Mozambique LNG di Total (950 milioni di dollari) e per Coral South FLNG di Eni (700 milioni di dollari).
Dopo essere stato a lungo posto in stand-by proprio a causa dell’instabilità socio-politica dell’area, il progetto Rovuma LNG dovrebbe ripartire a breve. Per questa ragione, i capofila dell’opera sono alla ricerca di banche commerciali che possano prestare soldi per la sua realizzazione e agenzie di credito all’esportazione che garantiscano questi prestiti con soldi pubblici. Se consideriamo che Rovuma LNG è di proprietà di Eni – in partnership con Exxon, il coinvolgimento di SACE è molto plausibile. L’agenzia dovrebbe però motivare anche l’assenza di un presunto conflitto di interessi, dal momento che il suo presidente, Filippo Giansante, è anche membro del consiglio di amministrazione del cane a sei zampe.
Se implementata, la Dichiarazione di Glasgow permetterebbe di sottrarre ogni anno almeno 28 miliardi di dollari all’industria fossile (questo infatti l’ammontare dei finanziamenti pubblici alle fonti fossili da parte delle istituzioni e Paesi firmatari), permettendo di indirizzarli verso una giusta transizione ecologica. Tuttavia, la maggior parte delle istituzioni finanziarie e dei Paesi firmatari non ha ancora reso pubbliche le proprie politiche allineate alla Dichiarazione di Glasgow. In modo particolare, le politiche preesistenti delle agenzie di credito all’esportazione sono in ritardo rispetto alla maggior parte dei paesi e devono essere significativamente migliorate. I principali rischi che i firmatari devono evitare in fase di implementazione riguardano l’introduzione di ampie esenzioni per il sostegno al gas e a false soluzioni come la cattura e stoccaggio del carbonio.
È arrivato il momento che anche SACE faccia la sua parte e smetta per sempre di sostenere progetti disastrosi per il clima, l’ambiente e le comunità, e che fanno la felicità solamente dell’industria dei combustibili fossili.