Famiglie private della terra da cui si sostentavano, pescatori ai quali è stato precluso l’accesso al mare, attività commerciali spacciate per programmi di sviluppo e una relazione molto ambigua tra multinazionali ed esercito. L’audit interno commissionato dalla oil major francese Total getta ulteriori ombre sul ruolo dell’industria del gas in Mozambico, dove anche l’italiana ENI è presente con un mega-progetto e ha l’ambizione di costruirne un altro.
Il rapporto, commissionato a dicembre 2022 da Total, è stato redatto da Jean-Christophe Rufin, ex-ambasciatore francese in Senegal e tra i fondatori di Medici senza frontiere. Dal 2017, la regione di Cabo Delgado è attanagliata da un conflitto armato che ha già causato oltre 4mila vittime e un milione di sfollati.
Sebbene le compagnie del gas, ENI inclusa, neghino qualsiasi collegamento, Rufin è netto nel dire che il senso diffuso di frustrazione tra le comunità impattate dall’espansione dell’industria fossile sia uno dei fattori su cui possono far leva gli insorti. L’ex-ambasciatore osserva inoltre che le infrastrutture del gas potrebbero diventare l’obiettivo di attacchi terroristici, con conseguenze catastrofiche per l’intera regione.
Sempre riguardo il conflitto, il dossier afferma chiaramente come nel tempo gli attacchi non siano mai cessati, ma che l’epicentro si sia semplicemente spostato verso il sud della regione, probabilmente per via della massiccia presenza di militari intorno alla zona di Afungi, quartier generale di Total.
Rispetto all’accordo siglato tra le multinazionali del gas e l’esercito mozambicano – su cui ReCommon ha più volte interrogato ENI nel corso delle sue Assemblee degli azionisti – Rufin si esprime in modo estremamente critico. La convenzione prevede infatti lo stazionamento di circa 600 militari intorno al campo di Afungi, ai quali le società forniscono supporto in termini di alloggio, cibo, equipaggiamento e persino bonus economici in caso di condotta non lesiva dei diritti altrui. Secondo Rufin, questa relazione diretta tra le aziende del gas e l’esercito andrebbe cessata, poiché in caso contrario farebbe risultare le prime come parte in causa nel conflitto secondo la Convenzione di Ginevra. Va ricordato come una recente inchiesta di Amnesty International abbia rivelato numerose violazioni dei diritti umani perpetrate da uomini che sembrano far parte dell’esercito di Maputo.
Un’altra area sulla quale l’audit commissionato da Total rileva enormi criticità sono i ricollocamenti delle comunità, costrette a far spazio alle infrastrutture dell’industria. Il rapporto menziona, ad esempio, il caso del villaggio di Quitupo, i cui abitanti sarebbero dovuti essere ricollocati in un altro villaggio, ma il trasferimento forzato si è interrotto dopo che Total ha dichiarato l’interruzione dei lavori per forza maggiore. Il risultato è che le famiglie di Quitupo da mesi non possono più coltivare la propria terra o effettuare la manutenzione delle loro case (perché andranno abbattute), ma non dispongono ancora di un altro luogo dove andare a vivere.
Ma i problemi non mancano neppure per chi è già stato ricollocato, come le famiglie trasferite nel nuovo villaggio di Quitunda, le quali però si trovano senza terra da coltivare poiché quella che in teoria gli era stata assegnata è già in uso da parte degli abitanti originari del luogo. Una dinamica molto comune nei casi di ricollocamento, che genera conflitti e tensioni tra le comunità, oltre che aumentare la pressione su risorse già limitate.
C’è poi il caso delle comunità di pescatori, ricollocate a notevole distanza dalla costa, il cui unico mezzo a disposizione per raggiungere il mare è una navetta che però segue orari del tutto incompatibili con quelli delle attività di pesca. Inoltre, tutti i pescatori vengono trasportati nello stesso luogo, il che naturalmente pone un problema di sovra-concentrazione in alcuni tratti di costa, rendendo la pesca meno proficua.
Anche il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, interpellato da ReCommon attraverso un’istanza di accesso agli atti, conferma la precarietà del contesto con un “conflitto ancora in corso”. Tuttavia, il ministero si affretta ad aggiungere che “al momento d’altro canto l’insurrezione non attua sistematici attacchi contro gli investimenti stranieri”: l’enfasi posta su “sistematici” non dovrebbe però lasciar dormire sonni tranquilli, facendo intendere come degli attacchi abbiano comunque alta possibilità di accadere.
Nonostante tutto ciò, ENI è intenzionata ad avviare il suo secondo mega-progetto di gas in Mozambico nel più breve tempo possibile. L’investimento previsto è di 7 miliardi di euro circa, sui quali il Cane a sei zampe tenterà probabilmente di ottenere la garanzia pubblica da parte di SACE, che ha già supportato finanziariamente i progetti mozambicani di Total ed ENI con un miliardo e mezzo di euro di soldi pubblici. In un contesto così complesso, la possibilità che i progetti vadano in rovina è molto alta: in quel caso, i soldi delle cittadine e cittadini italiani sarebbero sborsati, coprendo le perdite di ENI e rimborsando le banche che potrebbero prestare i soldi per la realizzazione dell’opera, come Intesa Sanpaolo.