Chi finanzierà l’ennesimo progetto estrattivo in Mozambico?

Con l’imminente arrivo in Europa del primo carico di gas naturale liquefatto proveniente da Coral South FLNG di Eni, in Italia si riprende a parlare di Mozambico: voltando le spalle a quanto accade dall’altra parte del tubo – in questo caso una nave gasiera – lo si farà nuovamente per i motivi sbagliati. Infatti a Cabo Delgado, dove è ‘di casa’ l’industria fossile, è in atto un’insurrezione armata guidata dal gruppo Al-Shabaab, che negli ultimi anni ha causato oltre 4mila vittime e 800mila sfollati. Da luglio c’è stata una forte impennata degli attacchi, con 120 azioni e almeno 200 morti, tra le quali la suora comboniana Maria De Coppi, uccisa nel villaggio di Chipene.

Si parla sempre di più delle conseguenze indirette dei progetti fossili di Eni (Coral South FLNG) e Total (Mozambique LNG) nel Paese, ma ancora troppo poco del fatto che il cane a sei zampe – insieme a ExxonMobil – sta spingendo per aggiungere al suo portafoglio Rovuma LNG, mega-progetto di gas naturale liquefatto (GNL). Ancora di meno si parla di chi ha finanziato la devastazione del Mozambico settentrionale e potrebbe farlo ancora nel caso di Rovuma, ora che Eni ed Exxon vogliono ottenere entro il 2023 i prestiti dalle banche e le garanzie sui prestiti dalle agenzie di credito all’esportazione, necessari per costruire l’opera.

UniCredit, la seconda banca italiana per grandezza, è tra i più importanti finanziatori di Eni, con 5,4 miliardi di dollari tra il 2016, anno dell’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul clima, e il 2021. Ai prestiti si aggiungono 237 milioni di dollari di azioni nel capitale del cane a sei zampe. Nel 2017, la banca di piazza Gae Aulenti ha sborsato 160 milioni di dollari proprio per Coral South, e la sua politica interna sul clima e l’ambiente per quanto escluda la possibilità di finanziare progetti estrattivi petroliferi non vieta di supportare progetti di GNL come Rovuma. Tutti segnali poco confortanti.

C’è poi Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana e nella top-30 a livello globale, anche conosciuta come “banca nemica del clima n.1 in Italia” per il suo mix di finanziamenti e investimenti nell’industria fossile, che ancora deve fare pubblica ammenda per aver contribuito alla dipendenza energetica italiana dalla Federazione russa, la cui industria oil&gas rappresenta il forziere dello sforzo bellico di Putin in Ucraina. I finanziamenti del gruppo di Corso Inghilterra al cane a sei zampe fra il 2016 e il 2021 ammontano a 3,4 miliardi di dollari, a cui si aggiungono anche 222 milioni di dollari a ExxonMobil. Ci sono poi gli investimenti tramite azioni e bond: 336 milioni di dollari in Eni e 67 milioni di dollari nella multinazionale statunitense, a suggellare il patto fossile tra il colosso torinese e l’industria fossile.

Come UniCredit, anche Intesa potrebbe essere della partita per il finanziamento di Rovuma, non solo per il legame con Eni ed Exxon ma anche perché nel 2017 UBI Banca, ora parte del gruppo Intesa Sanpaolo, partecipò al finanziamento di Coral South con 110 milioni $. Inoltre, il colosso bancario è da sempre ‘interessato’ ai terminal di GNL, avendo finanziato vari progetti di questo tipo in ogni angolo del globo, soprattutto negli Stati Uniti. Un interesse talmente forte che la sua policy climatica non fa alcuna menzione di quando smetterà di supportare progetti di GNL. In ultima battuta, è opportuno ricordare come Intesa sia il terzo azionista di Saipem, società di cui Eni detiene il 31% delle azioni, specializzata nella costruzione di infrastrutture oil&gas e che potrebbe essere approcciata per la realizzazione di Rovuma LNG, avendolo già fatto per Mozambique LNG e avendo contribuito ai lavori di manutenzione per Coral South.

Come garante ultimo nel vero senso della parola di Rovuma LNG potrebbe esserci SACE, l’assicuratore pubblico italiano controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze. L’attività prevalente di SACE è quella di emettere garanzie un’assicurazione pubblica, i cui beneficiari possono essere sia aziende multinazionali, i cui progetti all’estero possono essere assicurati, che banche commerciali, i cui prestiti ai progetti esteri delle aziende possono essere garantiti. Se le cose vanno male, SACE rimborsa le aziende oppure le banche che hanno prestato soldi alle aziende per i loro progetti esteri: in entrambi i casi con soldi pubblici.

Tra il 2016 ed il 2021, SACE ha emesso garanzie a progetti oil&gas per un volume complessivo pari a 13,7 miliardi di euro. Tra questi progetti troviamo Coral South FLNG, per un ammontare di 700 milioni di dollari, e Mozambique LNG per 950 milioni di dollari. Nel primo caso, SACE ha emesso una garanzia proprio sui prestiti di UBI Banca (ora gruppo Intesa Sanpaolo) e di UniCredit, coinvolte insieme ad altre banche internazionali nel finanziamento del progetto. In un contesto caratterizzato da violenze e forte instabilità come quello mozambicano, è praticamente impossibile che le banche possano prestare soldi senza il coinvolgimento di agenzie come SACE.

A rendere la situazione più grave, tanto da farla divenire grottesca, se SACE dovesse essere della partita di Rovuma LNG si rischia un possibile caso di conflitto di interessi. Il motivo è presto detto: Filippo Giansante, Presidente di SACE, è anche membro del Consiglio di amministrazione di Eni.

Il quadro complessivo non lascia presagire nulla di buono, con la finanza privata e pubblica italiana pronta a supportare l’ennesimo progetto fossile che causerà conseguenze ambientali, economiche e sociali irreversibili. Lontano dai nostri occhi, per questo tollerabile.

C’è solo una maniera per evitare questo lascito di macerie, il contraccolpo reputazionale e quello economico: sfilarsi dal finanziamento di Rovuma LNG e dichiararlo pubblicamente.


I dati, aggiornati al 01.01.2022, sono stati elaborati da ReCommon sulla base della ricerca finanziaria condotta da Profundo B.V (www.profundo.nl/).

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