L’oleodotto che divide

Pubblicato sul mensile Nigrizia – aprile 2022

L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa ha fatto emergere con forza nel dibattito pubblico numerose questioni, troppo spesso sottaciute da governi, multinazionali energetiche e gruppi finanziari. Questioni che la società civile e i movimenti per la giustizia ambientale e climatica denunciano da tempo: la dipendenza dai combustibili fossili alimenta situazioni di instabilità sociale e politica, finanche conflitti armati.

Inoltre, da quando l’Unione europea ha deciso di adottare sanzioni economiche nei confronti della Federazione Russa, in primis l’esclusione dal sistema SWIFT di sette banche russe, si è compreso realmente quanto dipenda dagli idrocarburi prodotti in altri paesi, in questo caso la Russia. Una novità solo agli occhi di chi non ha mai voluto vedere.

Purtroppo, le prime risposte istituzionali a questa situazione rischiano solamente di trascinare numerosi paesi europei da una dipendenza a un’altra – soprattutto l’Italia, aggravando in altri quella che viene chiamata ‘maledizione delle risorse naturali’. Molti di questi paesi ‘maledetti’ si trovano nel continente africano, in prima fila per la produzione di petrolio e gas: Nigeria, Mozambico, Egitto, Angola, Algeria, Repubblica del Congo.

fonte: Nigrizia

A conferma di ciò, Patrick Pouyanné, amministratore delegato della major Total, in occasione della conferenza CERAWeek di Houston (7-11 marzo 2022) ha parlato della bassa dipendenza della sua società dal business fossile russo – cosa non vera, lodando invece i progetti estrattivi in Africa. Si è così spinto a denunciare quanto sarebbe deplorevole non sfruttare le risorse naturali di territori economicamente poveri.

Un riferimento non troppo velato all’East African Crude Oil Pipeline(EACOP), progetto che Total porta avanti insieme alla China National Offshore Oil Corporation (CNOOC). Estendendosi per quasi 1.445 chilometri, se realizzato EACOP sarebbe l’oleodotto riscaldato più lungo del mondo, e taglierebbe in due l’Uganda e la Tanzania, partendo dal distretto di Hoima per terminare la sua corsa nel porto di Tanga, sull’Oceano indiano.

La costruzione dell’oleodotto rischia di compromettere le risorse idriche e le zone umide di Uganda e Tanzania, compreso il bacino del Lago Vittoria, da cui dipendono oltre 40 milioni di persone per l’acqua potabile e la produzione di cibo. L’oleodotto attraverserebbe numerose aree sensibili dal punto di vista della biodiversità, con il rischio di degradare significativamente riserve naturali cruciali per la conservazione di specie animali minacciate.

Anche l’Italia è coinvolta a vario titolo nella realizzazione dell’opera. Le società Saipem e Nuovo Pignone (controllata dalla statunitense Baker Hughes, gruppo General Electric) partecipano alla realizzazione della raffineria di Kabaale, nel distretto di Hoima in Uganda, da cui partirà l’oleodotto EACOP, trasportando il petrolio estratto nei giacimenti del Lago Alberto. La posa dei tubi dovrebbe invece essere affidata, tra le altre, alla società italiana ISOAF, sussidiaria della malese Wah Seong.

Nel corso della puntata di Presa Diretta dal titolo “Petrolio, il tempo perduto”, andata in onda lunedì 27 settembre 2021 su RAI3, SACE, l’assicuratore pubblico italiano controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha risposto ad alcune domande poste dal programma, riguardanti l’esposizione complessiva dell’agenzia al settore dei combustibili fossili e, nello specifico, ad alcune operazioni finanziarie in corso. In quell’occasione si è venuti a conoscenza che è in corso la valutazione preliminare di SACE per sostenere finanziariamente il progetto EACOP.

L’agenzia SACE è nata per coprire dai rischi politici e commerciali le multinazionali italiane nel loro export e investimenti esteri, soprattutto in paesi considerati ‘a rischio’. Ciò significa che, se le cose vanno male, SACE rimborsa le aziende oppure le banche che hanno prestato soldi alle aziende per i loro progetti esteri. In entrambi i casi lo fa con soldi pubblici, cioè della cittadinanza.

Ciò avviene perché le operazioni di SACE sono co-assicurate al 90% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, e il rimanente 10% di SACE è contro-garantito dallo Stato. Nel caso in cui lo Stato italiano ottenga una contro-garanzia dal paese che ospita il progetto e questo viene cancellato, il paese vedrà quindi il suo debito estero aumentare. Una questione che in Africa ha profonde radici neocoloniali, fungendo da ostacolo allo sviluppo di numerosi paesi.

Oltre ai gravi impatti associati al progetto, le emissioni derivanti dalla combustione del petrolio che verrebbe trasportato da EACOP sono stimate in almeno 34 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, equivalenti all’8% delle emissioni annuali dell’Italia.

Inoltre, la situazione per la società civile ugandese, specialmente coloro che assistono le comunità colpite dal progetto, è peggiorata significativamente. Nell’ottobre 2021 si sono verificati diversi casi di arresti e vessazioni giudiziarie. Tra questi, si possono ricordare l’arresto (e il successivo rilascio) di sei membri dell’Africa Institute for Energy Governance (AFIEGO); un rappresentante delle popolazioni colpite dal progetto, Robert Birimuye; il presidente della Oil and Gas Human Rights Defenders Association (ORGHA), Joss Kaheero Mugisa, che ha trascorso cinquantaquattro giorni in prigione ed è ancora in attesa di processo.

L’UKEF, omologa britannica di SACE, ha già escluso la possibilità di sostenere finanziariamente EACOP. Inoltre, quindici grandi banche commerciali, tra i principali finanziatori di Total e CNOOC, e sette compagnie assicurative private hanno già chiarito che non sosterranno EACOP. Tra queste istituzioni finanziarie c’è UniCredit, la seconda banca italiana. Insomma, è sempre più chiaro che l’agibilità del progetto stia venendo meno, nonostante Total e CNOOC abbiano deciso di tirare dritto e proclamare la Final Investment Decision, cioè la volontà di realizzarlo innanzitutto con il proprio capitale. Tutt’altra storia è invece la Financial close, cioè avere la copertura finanziaria totale attraverso i prestiti di banche commerciali e le garanzie di agenzie di credito all’esportazione: per un progetto con questi impatti su persone, ambiente e clima, dal costo stimato tra 3,5 e 5 miliardi di dollari, sarà impresa tutt’altro che facile.

Il 19 gennaio 2022, Rodolfo Errore ha lasciato la presidenza di SACE per Ludoil, società attiva nei settori petrolifero e petrolchimico. Il suo posto è stato preso ad interim da Mario Giro, già Vice Ministro degli Affari Esteri e membro della Comunità di Sant’Egidio dal 1975. Una storia professionale e personale spesso intrecciata con l’Africa, in particolare per questioni riguardanti la pace e il dialogo interreligioso. È lecito interrogarsi se la sensibilità di Giro per le questioni africane farà desistere SACE da assicurare il progetto. L’agenzia, incalzata dall’associazione ReCommon e da altre 28 realtà della società civile internazionale, ha confermato che si trova in una posizione di valutazione preliminare, e che ciò non implica che la pratica vada in porto.

A maggio 2021, SACE ha adottato dei primi impegni volti a tutelare il clima e l’ambiente, limitando la possibilità di assicurare alcune delle operazioni più impattanti. Le maglie sono però ancora molto larghe, tanto che un progetto come EACOP potrebbe essere assicurato. Policy che non è stata resa pubblica sul sito istituzionale di SACE, ponendo seri dubbi sulla sua implementazione e, in generale, sulla trasparenza del gruppo. Se SACE – e, di conseguenza, il governo italiano – è seria nella sua lotta alla crisi climatica, non può fare altro che abbandonare il progetto una volta per tutte.

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