Clima, Greenpeace e ReCommon: «ENI continua a investire su un futuro fossile, peggiorando la crisi climatica in corso»

ROMA, 10.05.22 – Malgrado gli annunci e i numerosi tentativi di pubblicizzare una sua fantomatica svolta green, ENI continuerà di fatto nei prossimi anni ad avere al centro del proprio business gas fossile e petrolio. È quanto denunciano Greenpeace Italia e ReCommon alla vigilia dell’assemblea degli azionisti di ENI, che ancora una volta si terrà a porte chiuse e senza azionisti, impedendo la possibilità di dibattito su scelte strategiche importantissime in un momento storico così delicato.

Secondo quanto contenuto nell’analisi della strategia di decarbonizzazione di ENI al 2050 – pubblicata dall’autorevole associazione francese Reclaim Finance, in collaborazione con ReCommon e Greenpeace Italia – i piani del Cane a sei zampe non sono in linea con quanto richiesto dagli scenari net zero dell’IPCC e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia per limitare l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 gradi Celsius ed evitare gli effetti peggiori dei cambiamenti climatici.

ENI infatti nel breve termine continuerà ad aumentare la propria produzione di petrolio e gas fossile, che sarà superiore di circa l’8% rispetto ai livelli del 2016, e “consumerà” entro 2030 il 71% del budget di carbonio che le è stato assegnato dai modelli scientifici. Inoltre, nel 2035, l’intensità carbonica delle sue attività sarà superiore del 21% rispetto a quanto consentito.

foto © Greenpeace Italia – 10 maggio 2022

«Eni continua a fare greenwashing e nasconde l’aumento delle sue emissioni con soluzioni fasulle come la cattura e lo stoccaggio di CO2, che fino ad ora non ha mai funzionato, oppure schemi di offsetting forestale che, seppur attivi da decenni, non hanno protetto le foreste che continuano a degradarsi», dichiarano Greenpeace Italia e ReCommon. «L’ultima perla che abbiamo ascoltato è la bufala della fusione nucleare, spacciata come disponibile nel prossimo decennio, a dispetto delle affermazioni degli esperti del settore che non la ritengono praticabile prima del 2060».

Per denunciare l’impatto dell’azienda sul clima del Pianeta, attivisti e attiviste di Greenpeace questa mattina hanno aperto uno striscione con il messaggio “ENI killer del clima” nei pressi dello storico stabilimento del Cane a sei zampe a Porto Marghera. Solo pochi giorni fa, infatti, la Commissione per i diritti umani delle Filippine (CHR) ha pubblicato un’indagine pluriennale su 47 società – tra cui proprio ENI – sui danni associati alle violazioni dei diritti umani che derivano dai cambiamenti climatici di cui queste compagnie sono responsabili.

Il rapporto della commissione filippina stabilisce una solida base per affermare che le attività commerciali distruttive per il clima delle compagnie di combustibili fossili e del cemento sono una minaccia per i diritti umani. Questi colossi non possono dunque continuare a violare i diritti umani e anteporre il loro profitto alla sicurezza delle persone e del pianeta.

L’indagine del CHR è partita nel 2015, quando i sopravvissuti ai violentissimi tifoni che si erano abbattuti sull’arcipelago delle Filippine hanno presentato, insieme a diversi esponenti della società civile (tra cui Greenpeace South Asia), una denuncia proprio alla Commissione per i diritti umani di Manila contro i grandi inquinatori, accusati di provocare cambiamenti climatici catastrofici, violando così i diritti umani.

«Insieme a chi ha aderito a questa iniziativa, chiediamo al nuovo governo filippino e ai leader mondiali di adottare le conclusioni della Commissione, ritenendo i grandi inquinatori responsabili degli impatti dannosi per il clima derivanti dalle loro attività commerciali», ha dichiarato Yeb Saño, Direttore Esecutivo di Greenpeace Sud-Est asiatico.

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