Viaggia a carbone la locomotiva d’Europa

Un idillio bucolico, sfregiato dai crateri di sconfinate miniere e dal profilo minaccioso di centrali a carbone, dove torri di raffreddamento vomitano senza sosta gigantesche nuvole bianche. 

Benvenuti nel Land tedesco del Nord Reno-Vestfalia, il più popoloso della Locomotiva d’Europa. Per la precisione siamo a poco meno di un’ora di macchina da Colonia, in una delle aree più ricche di carbone d’Europa e con due delle miniere a cielo aperto di lignite (la tipologia di carbone maggiormente inquinante) più grandi al mondo: Hambach e Garzweiler, entrambe gestite dalla multi-utility tedesca RWE. 

Miniera di Garzweiler – foto @catwithacamera – Archivio ReCommon

La prima, profonda fino a 500 metri, è assurta agli onori della cronaca meno di un lustro fa per la battaglia condotta dagli ambientalisti per salvare l’omonima foresta. Un grande successo di attivisti e attiviste, cui ora fa da contraltare la lotta per salvare alcuni villaggi dall’espansione della miniera di Garzweiler. Sarebbe più corretto chiamarla Garzweiler II, perché per Garzweiler I, esausta e separata da quella in fase di attività solo da una lingua d’autostrada, erano già stati distrutti 11 villaggi e sfollate 30mila persone.

Il villaggio simbolo del nuovo fronte contro il carbone si chiama Lützerath. La strada che costeggia il paesetto, che finisce in una sorta di piazzale, punta direttamente sull’abisso di Garzweiler II. Qui centinaia di attivisti e attiviste si danno il cambio nella tenda fulcro della protesta, visitata anche da Greta Thunberg e Vanessa Nakate. “Finché c’è la tenda e almeno uno di noi presente, non ci possono cacciare. Ma ormai è solo questione di giorni, perché il permesso per rimanere viene rinnovato mensilmente e di sicuro troveranno una scusa per procedere con l’evacuazione”, ci spiega Julia Riedel, che fa riferimento all’accordo raggiunto nelle ultimissime settimane tra il governo del Land e la RWE per ampliare la miniera. Una soluzione di compromesso, perché dei sei villaggi in pericolo l’unico “sacrificato” sarà Lützerath, mentre nella regione lo stop al carbone sarà nel 2030 invece che nel 2038. Oltre ai ragazzi e alle ragazze che hanno costruito casette sugli alberi e da due anni a questa parte hanno ripopolato il villaggio, incontriamo l’ultimo abitante di Lützerath, Eckardt Heukamp. I suoi compaesani sono andati via da tempo, lui è rimasto per difendere la sua fattoria, dove però lo incontriamo mentre sta caricando sul furgone delle masserizie. Eckardt ha perso l’ultima causa amministrativa e deve essere rilocato.    

“Il problema non sono i giudici, ma i politici che fanno le leggi”, ci dice. O piuttosto che trovano accordi, come quello siglato da Mona Neubaur – ministra dell’Economia del Land all’interno della coalizione anomala CDU-Verdi – con la RWE, per il già citato stop al 2030. La mossa del governo regionale di fatto ha spaccato i Verdi – la Neubaur è esponente di spicco del partito ambientalista – tanto che c’è chi è nettamente contrario all’intesa. Come la parlamentare del Bundestag Kathrin Henneberger, che prima di entrare nel Parlamento nazionale ha trascorso sei mesi a Lützerath. “Sono stata qui per sei mesi e ora cerco di portare a livello nazionale le proteste locali”. La Henneberger non vuole compromessi sul carbone e ricorda che anche la fine della polvere nera al 2030 non è sicura al 100 per cento, dal momento che nel 2026 è prevista una sorta di “tagliando” con un ipotetico prolungamento al 2033. Anche se si arrivasse solo al 2030, sarebbero comunque estratti 290 milioni di tonnellate di polvere nera, la cui combustione sarebbe addirittura superiore a quella in un orizzonte al 2038. Senza contare che il prezzo del carbone, fino a due anni fa dato per spacciato, è tornato a salire, per la felicità delle casse di RWE, che sembra aver studiato l’accordo con il governo a tavolino per guadagnarci il più possibile. 

D’altronde la Germania è uno dei paesi carboniferi per eccellenza e tutt’ora basa il suo mix energetico per il 30 per cento dal più inquinante dei combustibili fossili. Nel resto del Paese, soprattutto nell’Est economicamente più povero e dove quindi anche i posti di lavoro del settore contano, lo stop è ancora fissato al 2038, con buona pace della transizione energetica ed ecologica. La RWE gioca tutta la sua strategia comunicativa, come tutte le sue “sorelle”, su operazioni di pura cosmesi, sull’ormai dilagante greenwashing. Non a caso in Nord Reno-Vestfalia il panorama è punteggiato oltre che dalle centrali a carbone anche da numerose pale eoliche. Anche se tante, come possiamo notare, non funzionano. “Di sicuro otto saranno abbattute per far posto a Garzweiler II, altre sono obsolete e dovranno essere sostituite”, chiarisce David Dresen, della coalizione locale Alle Dörfer Bleiben, che ci fornisce un quadro molto esplicativo della forza sul territorio di RWE. “Tanti politici dipendono dalla forza della RWE, da come possa muoversi capillarmente all’interno della società, creando posti di lavoro o fornendo finanziamenti per un numero disparato di iniziative”. La società è interamente privata, ma ha un potere enorme nell’influenzare le politiche energetiche tedesche. A coprire le spalle di RWE ci pensano anche le due principali banche italiane, Intesa Sanpaolo e UniCredit. Spulciando il bilancio ci accorgiamo in particolare che Intesa ha investito nella multi-utility tedesca 135 milioni di euro, primo investitore italiano. Non una sorpresa, visto che la “banca fossile italiana numero uno” nel solo 2021 ha concesso 6,4 miliardi di euro di finanziamenti all’industria fossile tra prestiti e sottoscrizione di azioni e bond. Quello che colpisce è che Intesa abbia giustificato il sostegno a RWE con la motivazione che la società “vuole uscire dal carbone e puntare sulle rinnovabili”. Peccato che della transizione energetica di RWE non vi sia traccia alcuna.

Un’azione degli attivisti contro la miniera di Garzweiler – foto @catwithacamera – Archivio ReCommon

In Italia e in varie altre parti d’Europa il revival del carbone è stato causato in buona parte dall’emergenza energetica posta dalla guerra, mentre la Germania, Paese spesso elogiato per il suo impegno nelle rinnovabili, non riesce lo stesso ad affrancarsi dal più inquinante dei combustibili fossili. La crisi climatica, ma anche quella sanitaria, finiscono costantemente in secondo piano. Sembra impossibile, ma una centrale, quella di Niederaußem, si trova addirittura nel bel mezzo dell’omonimo centro abitato. Anche in una giornata molto limpida e senza nuvole, come abbiamo trovato noi, il cielo non può essere completamente azzurro, ma in parte è coperto dal solito immenso sbuffo bianco che fuoriesce dall’impianto. Bianco solo a occhio nudo.

“Due studi affermano che statisticamente ci sono 2mila morti l’anno a causa delle centrali”, ci spiega nel suo ambulatorio a Colonia Christian Döring, pediatra che conosce fin troppo bene gli effetti della combustione del carbone sui bambini. “I danni sono rilevanti anche per le donne incinte, perché le particelle arrivano fino alla placenta. Nelle aree più impattate i bimbi pesano di meno e nascono più spesso prematuri”. Quasi pleonastico ribadire i problemi di inquinamento ambientale: dalla distruzione di suolo tra i più fertili del Paese al prosciugamento delle falde acquifere, come ci conferma l’esperto geologo Henry Risse. “Una volta esausta Garzweiler II, si vorrebbe riempire d’acqua, così da realizzare un bacino artificiale”. Di fatto ne verrebbe fuori un lago dalle dimensioni simili a quello di Bracciano, nel Lazio. Il processo di allagamento durerebbe decenni e attingerebbe direttamente dal vicino Reno, che la scorsa estate non ha sofferto come il Po, ma inizia a sentire gli effetti della crisi climatica. Un fenomeno che evidentemente in tanti in Germania continuano a sottovalutare.  

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