Tassare per davvero o non tassare gli extra-profitti dell’Eni? Questo è il problema

Il governo Meloni ha introdotto nella legge di bilancio per l’anno 2023 la nuova tassa una tantum sugli extra-profitti delle società energetiche, in linea con l’accordo raggiunto nel Consiglio europeo a fine settembre scorso. L’imponibile per l’anno 2023 sarà calcolato sulla base della differenza tra l’utile effettuato dalle società nel corso del 2022  e l’utile medio degli anni 2018-2021. L’aliquota da applicare sarà del 50%, dopo uno sconto del 10% sull’imponibile. Ma, ancora più importante, la nuova tassazione sarà applicata soltanto all’utile prodotto per le attività in Italia da parte di ben 7.000 società passive del provvedimento. Rimangono quindi escluse tutti i redditi delle attività all’estero dei colossi energetici italiani, in primis l’Eni. Il decreto legge è al vaglio del Parlamento che potrebbe ancora modificarlo, anche in questa materia, entro la fine dell’anno.

La nuova tassa non tocca affatto quella introdotta dal governo Draghi con riferimento ai primi mesi del 2022, che prendeva a riferimento l’imponibile IVA, invece degli utili, e per questa ragione era stata molto contestata. Diverse società, inclusa Eni, hanno presentato ricorso contro l’imposta al Tribunale Amministrativo. Le prime sentenze hanno rigettato i ricorsi per difetto di giurisdizione o ordinanto quantomeno la sospensione dei pagamenti in attesa delle pronunce nel merito. Rimane però pendente il ricorso del cane a sei zampe, che dovrebbe versare un contributo pari a 1,4 miliardi di euro per il 2022.

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Analisi degli extra-profitti nel settore Oil&Gas europeo - aggiornamento 18 nov 2022
Analisi degli extra-profitti nel settore Oil&Gas europeo - aggiornamento 18 nov 2022
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ReCommon, in collaborazione con Merian Research, ha stimato quanto dovrebbe pagare Eni secondo la nuova tassa come ridefinita dal governo. Secondo le nostre proiezioni, che si basano sui dati dei primi nove mesi del 2022, Eni sarebbe indirizzata a realizzare l’utile operativo più elevato di tutti i tempi, pari, dopo l’aggiustamento, a 22,5 miliardi di euro. Secondo l’applicazione della nuova norma estesa a tutte le sue operazioni nel mondo, Eni dovrebbe versare circa 4 miliardi di euro, applicando laliquota minima del 35%, come consigliata dall’Unione europea. Con un’aliquota del 100%, il gettito arriverebbe fino a 11,5 miliardi di euro. Come termine di paragone si consideri che il gettito previsto della nuova tassa per il 2023 è di poco più di 2,5 miliardi di euro per tutte le società energetiche operanti in Italia.

Eni ha espresso apprezzamenti riguardo la decisione europea che modifica l’impianto del cosiddetto “contributo di solidarietà”, definendola “una buona soluzione, una buona proposta per iniziare a valutare un meccanismo per questo tipo di contributo”. Ma alla luce del ricorso di Eni contro l’imposta precedente, è lecito chiedersi in che modo agirà la società ora che l’ammontare da essa dovuto potrebbe risultare triplicato.

È necessario vigilare con attenzione su come sarà applicata la nuova norma. Secondo ReCommon, questa dovrà prendere in considerazione gli utili del 2022 e non solamente quelli del 2023. È in questo momento che la crisi economica e sociale sta mordendo le classi più povere della popolazione italiana ed europea, e sarebbe inaccettabile che si aspettasse un anno per tassare le società che stanno traendo benefici da questa situazione così drammatica. Inoltre, è necessario mettere in chiaro da subito che l’utile da considerare nell’imponibile dovrà riguardare tutte le attività del gruppo Eni nel mondo e non solo quelle in Italia o UE.

In occasione dell’ultimo incontro del Consiglio Europeo sull’energia di fine novembre, ReCommon, in collaborazione con Merian Research, ha aggiornato lo studio pubblicato lo scorso settembre, che analizza i profitti delle sei principali oil major europee. Le compagnie in questione sono la nostrana Eni, Bp (Regno Unito), Equinor (Norvegia), Repsol (Spagna), Shell (Olanda e Regno Unito) e TotalEnergies (Francia).

I nuovi dati, aggiornati ai primi nove mesi di quest’anno, mostrano come le “sei sorelle” europee abbiamo ottenuto 77 miliardi di euro di extra-profitti rispetto al 2019. Questo immenso flusso di denaro finisce per il 60 per cento (53 per cento nel caso di Eni) agli investitori attraverso dividendi e il riacquisto delle azioni. Allo stesso tempo, le società non stanno affatto investendo nel processo di decarbonizzazione. È infatti rimasto invariato il monte investimenti, pari all’82 per cento del totale, dedicato ai combustibili fossili (77% per cento nel caso di Eni). Un atteggiamento irresponsabile nei confronti di chi soffre la crisi sociale, così come di chi sta già subendo gli impatti dei cambiamenti climatici. Per tale ragione extra-profitti senza precedenti nella storia vanno tassati con un’aliquota ben più elevata di un mero 35 per cento.

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