
di Luca Manes – pubblicato su Tuttogreen – Lastampa.it
La Salini-Impregilo non lo ha ancora comunicato in maniera ufficiale, ma è ormai chiaro che ha abbandonato il mega-progetto idroelettrico di Nenskra, nella regione georgiana della Svanezia. La compagnia italiana continua a trincerarsi dietro un secco no comment, ma varie comunicazioni del consorzio che ha commissionato i lavori confermano la sua uscita dall’appalto da 575 milioni di dollari vinto nel 2015.
Sui motivi di questa decisione si possono avanzare varie supposizioni, dal momento che fin dalla sua genesi l’opera è apparsa controversa e fonte di problemi. Di fatto il consorzio committente è composto solo dalla coreana K Water, che ha ricevuto dal governo del Paese caucasico l’incarico di gestire la diga una volta realizzata.
Per una spesa totale di circa un miliardo di dollari, Nenskra dovrebbe essere in grado di generare ben 280 megawatt di energia. Non a caso è considerata il fiore all’occhiello del piano di sviluppo energetico del governo di Tbilisi, deciso a puntare forte sullo sfruttamento degli innumerevoli corsi d’acqua che attraversano il paese. Di impianti di varie dimensioni (Nenskra sarà alta ben 130 metri) ne sono in programma 45, in buona parte proprio in Svanezia, regione famosa per le spettacolari vette innevate e per i suoi fiumi impetuosi che confina con la Russia e con la repubblica de facto indipendente dell’Abkhazia, “persa” dalla Georgia durante la guerra del 2008 contro le truppe di Mosca.
A inaugurare in pompa magna i lavori nel settembre del 2015 insieme ai manager dell’impresa italiana c’era una vecchia conoscenza degli appassionati di calcio italiani: l’ex difensore del Milan Kakha Kaladze, all’epoca ministro dell’Energia e vice-premier del primo governo post Micheil Saakashvili, il presidentissimo sconfitto dai russi e grande fautore del revival delle dighe. Fondato nel 2012 dal miliardario Bidzina Ivanishvili, il partito di Kaladze dall’evocativo nome Georgian Dream (sogno georgiano) era inizialmente contrario a investire nell’idroelettrico, per poi cambiare idea una volta conquistato il potere. Dal novembre 2017 Kaladze è uscito dal governo per assumere la carica di sindaco della capitale Tbilisi.
Dopo il taglio del nastro però sono seguiti tre anni di stallo. Noi abbiamo visitato il cantiere a metà e a fine 2016 e abbiamo potuto vedere che si stava procedendo solo con una lunga serie di carotaggi per venire a capo della complessa conformazione idrogeologica di un territorio segnato da numerosi smottamenti e particolarmente soggetto ad alluvioni.
Ma un altro elemento avverso è stata fin dall’inizio la decisa opposizione da parte della popolazione locale. Nel corso del tempo ci sono state varie proteste, culminate con blocchi stradali che hanno determinato la sospensione momentanea dei lavori. Quando abbiamo visitato Chuberi, 300 famiglie sparse in 10 frazioni, abbiamo avuto conferma del clima molto teso tra i locali.
Il villaggio più impattato dal progetto vive di agricoltura di sussistenza, commercio di noci e legname, ma vorrebbe sviluppare ulteriormente l’eco-turismo, in crescita in altre zone della Svanezia, soprattutto nei pressi del capoluogo Mestia.
Davanti a una fetta di khachapuri, la torta al formaggio tipica della Georgia, le due insegnanti Nato Subari e Lile Chketiani ci hanno spiegato che gli uomini delle comunità hanno fatto un solenne giuramento davanti alle icone in chiesa di non far realizzare il progetto. In Svanezia i giuramenti sono una cosa molto seria, visto che non si possono sciogliere in nessun modo, pena la vergogna che ricade su tutta la famiglia. Nenskra è considerato un attacco diretto alla cultura degli Svan, che hanno una lingua, tradizioni e festività tutte loro. “Se la comunità sarà divisa a causa del progetto tutto questo andrà perduto, motivo per cui a Chuberi ci sono persone con una posizione molto radicale; noi in quanto insegnanti stiamo cercando di mediare, per evitare un’escalation” ci hanno detto. Parole che ora suonano profetiche alla luce di quanto accaduto la scorsa primavera, quando un abitante del luogo un po’ alticcio è entrato nel cantiere sparando per aria. Per fortuna nessuno è rimasto ferito, ma dopo quell’incidente i lavori non sono più ripresi.
La notizia dell’addio della Salini-Impregilo è iniziata a trapelare per vie traverse già la scorsa estate, ma negli ultimi mesi si è avuto conferma dal committente dei lavori, che ha lanciato una nuova gara d’appalto.
Probabile che l’escalation della protesta sia stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, combinata con difficoltà tecniche forse inattese. Sulla carta si era invece risolta la spinosa questione dei finanziamenti, che pure nelle fase iniziale era stata fonte di attriti tra Salini e K Water, come ci aveva confermato il manager della compagnia coreana Nam Kyun Kim. Lo scorso gennaio la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo aveva concesso un prestito di 214 milioni di dollari, seguito pochi giorni dopo da un finanziamento di 150 milioni della Banca europea per gli investimenti. Approvazioni giunte con ritardi significativi rispetto a quanto previsto e comunicato dai diretti interessati – oltre un anno – e dopo alcune modifiche al progetto, che però suscita più di una perplessità negli uffici di Washington della Banca mondiale. Un rapporto confidenziale ottenuto dalla Ong CEE Bankwatch sottolinea come gli analisti della World Bank siano convinti che i termini fiscali del contratto stipulato da Tbilisi con la K Water per l’acquisto dell’energia prodotta dalla diga non sarebbero particolarmente vantaggiosi per l’esecutivo georgiano.
Il tutto al netto delle conseguenze sull’ambiente che le grandi dighe provocano una volta realizzate. E in Svanezia ne sanno qualcosa, poiché già ai tempi dell’Unione Sovietica si provò a sfruttare l’ingente potenziale idroelettrico conservato in questa remota parte della Georgia. Ci vollero però quasi 30 anni di lavori e un immenso sforzo ingegneristico per costruire un impianto sul fiume Enguri. Oggi, percorrendo l’unica via d’accesso verso le montagne del Caucaso, il mega sbarramento si svela in tutta la sua maestosità appena affrontata una delle mille curve del tragitto. Raggiunge 271,5 metri – è il quarto più alto al mondo – e ha un invaso che contiene 1,5 miliardi di metri cubici d’acqua, ma attualmente non funziona a pieno regime e la corrispettiva centrale si trova in territorio abkhazo.
Di un altro impianto, quello di Kudoni, rimangono invece solo alcune tracce sparse. Non fu mai terminato per le già ricordate difficoltà tecniche, che forse hanno convinto anche la Salini-Impregilo a rinunciare a un appalto così ricco.
La più grande compagnia di costruzioni italiana, 6,1 miliardi di euro di fatturato consolidato nel 2017, non è nuova alla realizzazione di dighe anche in contesti complessi, come i vari progetti nella Valle dell’Omo in Etiopia. Opere, queste ultime, definite un “orgoglio italiano” dall’ex Premier Matteo Renzi quando visitò il cantiere dello sbarramento di Gibe III nel 2015, ma che in realtà si trascinano da anni una lunga teoria di critiche a ragione dei loro pesanti effetti negativi sulle comunità indigene, tanto che per anni sono state oggetti di campagne promosse da Ong, tra cui Re:Common e Survival Italia.
Dopo l’acquisizione nel 2016 della Lane Construction, la Salini-Impregilo è sempre più attiva nel mercato statunitense, dal quale proviene un terzo dei suoi ricavi. Negli ultimi mesi si è vociferato di una possibile acquisizione di Astaldi, società diretta concorrente finita in brutte acque, così come di un ruolo di primo piano nella tormentata vicenda dello stadio della Roma. Forse sarà più semplice realizzare l’impianto di Tor di Valle che una diga sulle montagne del Caucaso.