L’organizzazione non governativa Human Rights Watch questa mattina ha reso pubblico un lungo e dettagliato rapporto (ben 153 pagine) in cui denuncia gli incredibili soprusi a cui sarebbero stati sottoposti negli ultimi mesi sindacalisti e operai del comparto petrolifero kazako.
La ricerca è stata compilata da vari membri dell’organizzazione con missioni sul campo ed evidenzia le pesanti responsabilità che in tutta la vicenda, accanto ovviamente al governo kazako, farebbero capo sulle tre maggiori aziende petrolifere operanti nella regione: una di proprietà statale kazaka, una per metà cinese e una per metà italiana, la Ersai Caspian, controllata dalla Saipem (società del gruppo ENI).
Quest’ultima per lungo tempo ha rifiutato ogni trattativa con i sindacati che avevano presentato le richieste salariali dei lavoratori, giungendo a licenziare selettivamente gli operai più “scomodi”, a minacciarli e in qualche caso anche a farli aggredire fisicamente, esacerbando così tensioni sociali già molto serie.
Nel rapporto è narrato l’episodio più grave di tutta questa storia, che risale allo scorso 16 dicembre. Quel giorno ha rappresentato il culmine di uno sciopero durato oltre sei mesi degli operai dell’industria petrolifera locale ed è coinciso con una vera e propria una strage di operai perpetrata dalla polizia nella cittadina di Zhanaozen, nel Kazakhstan occidentale.
Dopo ore molto difficili, contrassegnate da manifestazioni, scontri e provocazioni di gruppi organizzati, si è sviluppata una vera e propria caccia all’uomo da parte dei poliziotti. Secondo le fonti ufficiali, sarebbero stati uccisi dodici operai, mentre parecchie decine sarebbero stati i feriti. Sindacalisti e testimoni oculari hanno raccontato un’altra verità, ancora più tremenda. Secondo loro, infatti, le vittime sarebbero state quasi un centinaio.
Per i fatti del dicembre scorso sono ancora in corso dei processi – a senso unico, con gli operai sul banco degli accusati, mentre le brevi inchieste sull’operato della polizia si sono subito chiuse con delle assoluzioni generali – e nelle aziende petrolifere l’attività è ripresa più o meno normalmente, con gli operai ovviamente terrorizzati e in gran parte di nuova assunzione, mentre quelli che avevano partecipato alle lotte dell’anno scorso sono stati in gran parte licenziati o trasferiti in altre regioni, a condizioni ancor peggiori.
Nessun responsabile aziendale, né a livello locale né tanto meno a livello più alto, è stato interpellato, e nessun governo straniero ha ritenuto di dover mettere bocca nella vicenda. In particolare, se non stupisce quello del governo cinese, per quanto ci riguarda stordisce il silenzio assoluto del governo italiano, pur coinvolto direttamente nella vicenda attraverso il ruolo dell’ENI. Vedremo se, dopo la pubblicazione odierna del dossier di HRW – in cui sono contenute pressanti raccomandazioni ai governi di Paesi le cui aziende operano in Kazakhstan perché obblighino le aziende stesse a non consentire violazioni dei diritti dei lavoratori – la Farnesina troverà qualcosa da dire.
Per leggere il rapporto di Human Rights Watch: http://hrw.org/reports/2012/09/10/striking-oil-striking-workers-0