
[di Antonio Tricarico] pubblicato su Il Manifesto del 14 dicembre 2012
Di fronte al braccio di ferro tra Parlamento e lobby finanziarie alla fine il governo ieri è intervenuto modificando la sua proposta per l’istituzione della tanto attesa tassa sulle transazioni finanziarie, nota ai più come Tobin Tax, rimandandone l’applicazione al dopo elezioni. Sembrava inspiegabile che il governo Monti vicino alla finanza in poco tempo attuasse in maniera impeccabile una tale tassa, da sempre bandiera del movimento altermondialista.
Infatti, una volta trovato l’accordo alla fine dell’estate sulla cooperazione rafforzata tra 11 paesi dell’area Euro per introdurre la tassa, pur se controvoglia il Ministro dell’economia Grilli ha scodellato una proposta minimale che copriva ogni tipo di transazione finanziaria principalmente con l’obiettivo di racimolare un gettito sicuro di 1.088 miliardi di euro, inserito subito nella legge di stabilità.
Immediatamente si è aperto il conflitto tra lobby finanziarie e proponenti della tassa. I trader finanziari italiani hanno attaccato frontalmente chi nella società civile ha lavorato sodo in questi mesi per difendere e migliorare la proposta di legge – in primis la Campagna 005 che raduna numerose sigle dell’associazionismo italiano – e creare una linea del Piave in Parlamento. Ma questa è stata attaccata alle spalle, con il cambio di linea del governo di ieri. La nuova proposta si avvicina molto a quella del governo francese, che presenta purtroppo numerose lacune, e l’unica cosa rimasta immutata è il gettitto atteso.
Si è aumentata e differenziata l’aliquota per le varie operazioni finanziarie: per azioni e titoli in borsa nel 2013 l’aliquotà sarà dello 0,12% e 0,1% nel 2014. Per i mercati invece non regolamentati si parla di 0,22% nel 2013 e 0,2 l’anno seguente. Per i prodotti derivati però la tassa si applicherà “in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto”. Per le operazioni in mercati regolamentati l’imposta è ridotta a un quinto. Sarà un decreto del Tesoro a chiarire tutti gli aspetti attuativi, così resta tutto da vedere quanto gli strumenti più controversi alla fine saranno davvero osteggiati.
Il commercio ad alta frequenza verrà tassato con un modesto 0,02 per cento “sul controvalore degli ordini annullati o modificati che in una giornata di Borsa superino” una soglia numerica ancora da stabilire. La soglia “non può in ogni caso essere inferiore al 60% degli ordini trasmessi”. Una soluzione cerchiobottista e poco chiara che rischia di lasciare intoccato buon parte del cosiddetto trading intraday, ossia l’apertura e chiusura di posizioni che avviene nell’arco di una giornata.
Come se non basti diverse eccezioni sono state inserite per alcuni investitori: saranno esenti i market maker, ovvero le società che si assumo il compito di creare liquidità sui titoli quotati, e le transazioni in Borsa di azioni emesse da società con capitalizzazione inferiore a 500 milioni. In pratica le azioni di solo 79 società quotate alla borsa di Milano saranno interessate. La tassa non si applica “agli enti di previdenza obbligatoria” e alle transazioni e alle operazioni tra società “tra le quali sussista un rapporto di controllo”. Escluse anche le operazioni che le banche fanno “in vista di favorire la liquidità delle azioni” di una società emittente.
Ma soprattutto la tempistica cambia: la tassa partirà soltanto a marzo e sui derivati solo a luglio.
Sui blog in internet diversi trader finanziari pensano che i rischi più grossi per loro sono sfumati e ci sarà ancora ambito di manovra. Si da per scontato che visti i tempi ristretti la legge non cambierà ancora in Parlamento, cosa effettivamente difficile. Rimangono invece i timori che un governo di “sinistri” dopo quello Monti possa far cadere la scure sui trader in maniera più netta. Proprio il fine per cui la tassa è stata pensata e sostenuta dalla società civile, ossia per svuotare gran parte dei mercati finanziari che oggi mettono a rischio intere economie e società.
Insomma la pace sui mercati può attendere e gli speculatori se la vedranno con un nuovo governo, che magari per allora si sarà ravveduto completamente. Ieri è stato chiaro che Monti non vuole passare alla storia come colui che ha portato la Tobin Tax in Italia. L’allungamento dei tempi e le tante eccezioni sembrano funzionali alla prossima campagna elettorale, confermando ancora una volta che i tecnici sono più politici di tutti gli altri.