L’accusa è convinta che la licenza del ricco giacimento al largo delle coste nigeriane sia stata ottenuta pagando da parte di Eni e Shell una delle tangenti più corpose della storia: 1,092 miliardi di dollari. Un fiume di denaro che è solo transitato per i conti del governo federale di Abuja, ma che poi è arrivato nella disponibilità del vero proprietario della licenza, la società Malabu dell’ex ministro del petrolio ai tempi della giunta militare capeggiata da Sani Abacha, l’anche lui assolto in primo grado dai giudici di Milano. Come Etete abbia usato il denaro, distribuito a politici nigeriani di altissimo rango, non è stato considerato dai giudici milanesi un atto contrario alla legge. “Anche alla luce delle motivazioni della sentenza, che lasciano molti aspetti ancora da chiarire, ci sembra rilevante poter ricostruire la verità storica su quanto accaduto riesaminando la corposa documentazione relativa al processo”, ha dichiarato Antonio Tricarico di ReCommon.
In attesa del processo di appello, che dovrebbe iniziare nei prossimi mesi anche con la partecipazione della Repubblica della Nigeria come parte civile, è importante ribadire che il caso OPL245 continua ad avere una portata internazionale rilevante: a tutt’oggi ci sono procedimenti aperti in Olanda, Nigeria e Stati Uniti. Nel 2022 a Londra è prevista anche la ripresa del procedimento che riguarda la banca JP Morgan, a cui il governo nigeriano chiede un risarcimento di 875 milioni di dollari perché l’istituto di credito avrebbe fatto transitare una cospicua parte del denaro pagato per la licenza a politici nigeriani senza fare i dovuti controlli.
“L’importanza di questo progetto non sta in una volontà di revisione di un processo penale chiuso favorevolmente agli imputati, la Giustizia funziona proprio perché ci sono condanne e assoluzioni, altrimenti sarebbe giustizia sommaria, ma nella possibilità di conoscere per deliberare che ogni singolo cittadino può e deve esercitare” sottolineano i giornalisti di IrpiMedia. “Importante”, scrivono Lorenzo Bagnoli, autore delle inchieste sul caso per IrpiMedia, e il direttore della testata Luca Rinaldi, “è portare, ad esempio, a una conoscenza per deliberare sui fatti e sugli impatti che una determinata industria può avere sulle popolazioni locali”.