[di Antonio Tricarico] pubblicato su Valori.it
Martedì scorso l’Eni ha comunicato che il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha chiuso l’indagine sui due casi di corruzione internazionale che vedrebbero coinvolta l’impresa in Algeria e Nigeria. Il secondo concerne la controversa acquisizione della licenza Opl245 per cui il cane a sei zampe è a processo a Milano insieme a Shell e diversi manager delle due società.
Riferimenti ENI “fuorvianti”
Gli Usa hanno indagato sul caso sin dal 2013 e collaborato attivamente con la Procura di Milano, come testimoniato dall’agente dell’Fbi Debra LaPrevotte proprio in tribunale nell’autunno del 2018. Ma a sorpresa a 24 ore di distanza, il potente Dipartimento di Giustizia Usa – per altro proprio mentre il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo è in visita a Roma – ha descritto come “misleading”(fuorviante) qualsiasi riferimento a una chiusura di un procedimento sulle accuse di corruzione per la multinazionale italiana dovuta ad una mancanza di prove. Le stesse autorità a stelle e strisce hanno precisato, in maniera inconsueta, che l’indagine può essere riaperta se le circostanze cambieranno.
Il precedente della sanzione milionaria per progetto Bonny Island
È opportuno ricordare che la procedura di indagine negli USA non prevede una vera e propria archiviazione con conferma del giudice delle indagini preliminari, come nel nostro sistema giuridico, ed in ogni caso negli accordi di cooperazione tra USA e Italia non vige il principio del doppio giudicato. Ossia, secondo il Foreign Corruption Practice Act, le autorità USA possono sanzionare imprese di altri paesi, in particolare quelle quotate a Wall Street, come Eni, che corrompono violando la concorrenza nel commercio mondiale. Sanzioni miliardarie esemplari sono state già emesse nei confronti di diverse multinazionali.
Lo stesso gruppo Eni fu sanzionato nel 2012 per più di 300 milioni di dollari per aver corrotto le autorità nigeriane tramite Snamprogetti nell’ambito del progetto a gas di Bonny Island. Da notare che l’accusa di corruzione per Opl245 fa riferimento a crimini commessi tra il 2011 ed il 2014, ossia in parte quando l’Eni era ancora sotto condanna condizionata da parte del Dipartimento di Giustizia. Se le accuse fossero confermate da un tribunale, la reiterazione del reato sarebbe una questione molto grave per l’Eni, che potrebbe subire sanzioni pesantissime negli Usa.
Un boomerang per ENI
Quindi un giallo colora quella che sarebbe dovuta essere una vittoria per Eni e che rischia di tramutarsi in un boomerang nel processo in corso a Milano. Re:Common è stata tra i primi a notare una discrepanza significativa nella comunicazione di Eni datata 1 ottobre.
Nel pomeriggio di quel giorno, Eni emette un primo comunicato stampa sostenendo che «la decisione odierna del DOJ (Department of Justice, ndr) conferma i risultati di consulenti indipendenti, che hanno condotto indagini sulle accuse a seguito della decisione degli organi di controllo dell’Eni, che non ha rilevato alcuna attività illegale».
A distanza di qualche ora Eni raddrizza il tiro e corregge il suo comunicato, limitandosi a dire che è soddisfatta per la chiusura dell’indagine negli Usa. Un errore non da poco della potente macchina di comunicazione della più grande multinazionale italiana, sempre solerte a guidare l’interpretazione di gran parte dei media italiani quando si tratta di vicende che la riguardano direttamente.
L’irritazione della Procura di Milano
La Reuters ha rivelato che la troppo euforica comunicazione dell’Eni è stata notata dalla Procura di Milano, che una volta chiesto i chiarimenti a Washington ha ricevuto la comunicazione inviata dagli Usa alla società. E questa, nero su bianco, spiegava a Eni che l’indagine negli Usa era stata chiusa perché vi era un processo in corso a Milano e che il Dipartimento di Giustizia potrà rivedere la sua decisione se le circostanze cambieranno.
Probabile che le autorità statunitensi aspettino la sentenza del tribunale di Milano per poi eventualmente considerare sanzioni da imporre all’impresa. Lo stesso potrebbe valere per il caso Algeria, dove Eni, ma non Saipem, è stata assolta in primo grado, ma un appello è in corso sempre a Milano.
Per ENI “solo un problema di traduzione”
Nel frattempo ieri Shell ha più sobriamente confermato, a richiesta della stampa, che è stata informata dalle autorità Usa della chiusura dell’indagine a suo carico sul caso Opl245. Senza fanfare o giubilo.
L’ufficio stampa di Eni ha replicato alla Reuters che c’è stato solo un problema di traduzione tra le versioni in inglese e in italiano dei comunicati stampa ed è pronta a cooperare di nuovo con le autorità Usa se queste riapriranno l’indagine. Chi sa come sarà accolto a Washington il cane a sei zampe dopo questa figuraccia…