Occhio alla Sace

Sede della Sace a via del Tritone, Roma. Foto Mister No / CC BY

Negli ultimi giorni, ha generato scalpore la richiesta di garanzia pubblica della Sace a beneficio di FCA, la ex Fiat, per un prestito di Intesa Sanpaolo per la ragguardevole somma di 6,3 miliardi di euro. Denaro destinato alla società automobilistica registrata in Olanda e che paga le tasse nel Regno Unito.

La cifra è parte della copertura eccezionale di ben 200 miliardi di euro che il governo guidato da Giuseppe Conte ha esteso alla Sace nell’ambito del decreto liquidità di aprile al fine di aiutare il sistema economico italiano, legato all’export globale, a far fronte alla recessione legata all’emergenza coronavirus.

Grazie a questa controversa vicenda, l’opinione pubblica ha finalmente scoperto che cosa è la Sace, ovvero l’assicuratore pubblico di chi investe all’estero. Un ente che copre appieno i rischi politici e commerciali delle operazioni, spesso caratterizzate da pericoli di varia natura, delle multinazionali italiane in nome del mantra del sostenere l’internazionalizzazione tricolore.

Negli ultimi anni questa agenzia oscura, ma potente, dell’apparato dello Stato è entrata nell’orbita del gruppo Cassa Depositi e Prestiti (CDP), il vero forziere dello Stato italiano, quello che gestisce il risparmio vero delle classi medio-basse tramite i soldi versati alle Poste Italiane – controllata al 35% da CDP. La Cassa Depositi e Prestiti, da sola o con la Sace, interviene sempre di più nel mercato italiano e globale in nome dell’italianità e del sostegno al sistema nazionale.

Si aggiunga che è appena spuntato fuori un altro possibile prestito garantito Sace di 1,2 miliardi per Autostrade per l’Italia, controllata dal fondo Atlantia a guida Benetton, nemico giurato per l’opinione pubblica dopo la caduta del Ponte Morandi.

E così ora opinionisti e politici si azzuffano sull’opportunità o meno che la Sace garantisca questi giganti dell’economia italiana, talmente globalizzati che le tasse non le pagano in Italia o che si ricordano del Bel Paese e delle sue casse pubbliche solo quando sono in difficoltà nel mondo. Parliamo anche di colossi come Eni, partecipati anch’essi dalla Stato, che beneficiano da decenni delle garanzie di Sace in operazioni multimiliardarie in scenari molto rischiosi. Ma oltre al cane a sei zampe, la lista dei clienti di Sace comprende altri “soliti noti”, come la Danieli e Fincantieri.

Alla fine ben venga che il dibattito è finalmente diventato ampio e di dominio pubblico, ma ci permettiamo di far notare che è venuto il momento di guardare a fondo nell’attuale portfolio di Sace, di chi beneficia della garanzia pubblica “senza sé e senza ma”, andando oltre gli scandali del momento. Si scoprirà subito che, nascondendosi dietro la confidenzialità commerciale, la Sace non pubblica una lista di chi beneficia delle sue operazioni, che dal 2003 non presenta più un rapporto al Parlamento italiano perché non più ente di diritto pubblico, che probabilmente è ancora molto attiva nell’assicurazione di operazioni legate alla vendita di armi e che non è per niente chiaro se e quanto il sostegno pubblico agli alfieri italiani della globalizzazione produca un aumento significativo di posti di lavoro per gli italiani e gli stranieri, oltre a rimpinguare i profitti delle grandi imprese e i dividendi per gli azionisti.

Nel 2001 pubblicammo un rapporto che si chiamava “Senza Alcuna Considerazione Etica”, dettagliando numerose operazioni garantite da Sace in giro per il mondo nelle quali le comunità locali ci avevano contattato per gli elevanti impatti ambientali e sociali, per non parlare di abusi, violazioni dei diritti umani e atti di presunta corruzione, perpetrati in quei contesti.

Ancora oggi, dopo venti anni, dal Mozambico alla Repubblica Dominicana, le comunità locali ci contattano con una richiesta di aiuto perché scoprono che la Sace garantisce la multinazionale italiana del caso attiva sul campo, e non sempre per portare autentico sviluppo. Qualcuno ci dice chiaramente, che, se è questo “l’aiutiamoli a casa loro” tanto predicato, allora è meglio che loro facciano da soli, senza scomodare le aziende italiane e la garanzia di Stato. Ma forse è troppo scomodo per la politica pubblicare l’intera lista delle società e dei progetti targati Sace, destinati a crescere ancor di più per l’emergenza Covid-19?

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