Nelle lingue native Selk’nam e Tehuelches, Haru Oni significa «forti venti». Haru Oni è anche il nome del primo impianto pilota al mondo di produzione di e-fuel da idrogeno verde, in fase di realizzazione nella regione cilena di Magallanes. Siamo alla fine del mondo. Dopo Punta Arenas, la capitale della regione, c’è solo la Terra del Fuoco e l’Antartide. Una lunga teoria di pianure e steppe fa da contorno a questa città dall’architettura coloniale di matrice inglese. Punta Arenas vive di turismo e si riscalda con il gas estratto tramite fracking, la fratturazione idraulica. Una pratica molto distruttiva, ma di dimensioni relativamente ridotte, che da anni ha creato inoltre una filiera del metanolo, anch’esso già da anni in parte usato per il riscaldamento domestico della regione.
QUI IL VENTO TIRA MOLTO FORTE, tanto da far diventare questa area del Cile una di quelle destinate alla produzione di idrogeno nel più ampio programma del Global Gateway. In questo progetto di interesse planetario, e dietro il quale c’è un enorme interesse europeo, è coinvolta anche la Colombia. L’idea è di importare proprio da questi paesi l’idrogeno o i suoi derivati via nave. Il sindaco di Punta Arenas, Claudio Radonich, sembra essere felice del nuovo ruolo globale che avrà la piccola città che governa: «Penso che il surriscaldamento globale sia un dato di fatto, quindi non ci sono molte vie d’uscita. Quello che dobbiamo fare è cambiare la nostra matrice energetica passando per l’idrogeno come combustibile di transizione». Il sindaco è convinto che, dopo una prima fase di «avviamento», l’drogeno qui creerà posti di lavoro e sarà una fonte energetica coerente con un contesto di sostenibilità, dove il 60% del territorio è tutelato da parchi naturali.
Haru Oni è stato lanciato dalla holding HIF, leader mondiale nella ricerca e sviluppo di carburanti sintetici. Al progetto partecipano tra gli altri anche la Siemens, che fornirà gli elettrolizzatori, la Porsche, che si è impegnata ad acquistare gli eFuel prodotti, e l’italiana Enel, che si occuperà del parco eolico composto da 65 pale. In sintesi, l’obiettivo di questo progetto è produrre metanolo, etanolo o ammoniaca in forma liquida o gassosa per valutarne la fattibilità per l’esportazione.
LA FILIERA DI PRODUZIONE È FORSE LO STADIO più alto dell’estrattivismo in tinta green che sia stato mai pensato: le pale eoliche genereranno energia che portata a un elettrolizzatore produrrà idrogeno verde, le molecole verdi attraverso un altro processo industriale verrebbero arricchite con CO2 creando molecole più complesse che in forma liquida o gassosa verrebbero poi esportate. Una delle risorse fondamentali di cui si nutre la favola dell’idrogeno verde è l’acqua, dunque se il progetto venisse realizzato occorrerebbe un altro impianto industriale che desalinizzi l’acqua marina. Questi processi sono molto impattanti, sia perché le acque di scarto vengono rimandate in mare alterando le temperature, sia perché in mare ci finiscono anche il sale e gli altri derivati che comprometterebbero le condizioni ecosistemiche.
UN ALTRO GRANDE TEMA È QUELLO DELLA MIGRAZIONE degli uccelli. «Con il comitato cittadino, grazie alle competenze presenti, si è ottenuto di rallentare il processo, dato lo studio ambientale completamente carente sul tema», ci dice la dottoressa Gabriela Garrido del comitato cittadino sull’idrogeno. Nell’ultimo anno un primo progetto della HIF era stato oggetto di valutazione ambientale. Risultato troppo carente, come visto, è stato ritirato, per essere poi ripresentato lo scorso ottobre. Ma a non essere stato debitamente considerato è il fatto che questo territorio non ha alti livelli di produzione di CO2, dal momento che parliamo di steppe con una bassissima concentrazione di persone e di industrie. Occorrerebbe quindi realizzare una filiera di importazione dell’anidride carbonica. «La tecnologia deve trovare una soluzione per questo contesto particolare. La regione di Magallanes ha come caratteristica un cielo estremamente pulito, tanto che non sappiamo ancora quanto sarà efficace il processo della cattura della CO2. L’alternativa sarà cercare l’anidride carbonica fuori dalla regione. Da quel che so in questo momento si sta producendo carburante sintetico e gas sintetico liquefatto con CO2 portata via carri bombolai provenienti da un’azienda argentina, ma questo vale per il progetto pilota (una sola pala eolica, ndr)», ci dice il professor Hugo Vidal dell’università di Magallanes, che ha un accordo quadro sull’idrogeno proprio con la Holding HIF. «Se pensiamo alla prima fase commerciale con 65 aerogeneratori, servirà più «anidride carbonica e al momento si sta pensando d’importarla dal centro del Cile, in particolare dal settore di produzione della carta. Il prodotto finale dunque avrà un’impronta carbonica importante perché va sommata la CO2 generata in fase di trasporto», conclude il professor Vidal.
PARLANDO CON LE PERSONE, incontrando le autorità e leggendo i documenti ufficiali ci sfugge dove possa essere il verde di questo progetto, che ha troppe lacune e rischia di creare un modello di business che allargherebbe la bolla dell’idrogeno. Il totale dei progetti nell’area selezionata porterebbe a installare oltre 1300 pale eoliche, di conseguenza andrebbero moltiplicati gli apporti di acqua e l’import di anidride carbonica per garantire la massima produzione di questi impianti. «Non possiamo permettere che il governo cileno faccia gli errori delle legislature passate, ovvero continuare a promuovere estrattivismo e impattare territori non ancora compromessi come Magallanes», afferma Maria Paz Aedo, dell’organizzazione ambientalista cilena Casa, che supporta il comitato di Punta Arenas. «Questa promessa di posti di lavoro legati alla filiera dell’idrogeno nel caso di Magallanes non ha alcun senso, dato che parliamo della regione cilena con minor disoccupazione. Non c’è un problema reale, non si sta risolvendo nessun bisogno della comunità, piuttosto ci si sta appellando a questo discorso di solidarietà internazionale, ovvero che occorre essere solidali con gli altri paesi nel supportarli per andare verso un mondo più verde, che è un modo molto cinico per dire che ci saranno territori che verranno sacrificati per il consumo di altri paesi».