Le tangenti tropicali che vanno a carbone

Manifestazioni contro la centrale di Punta Catalina

[di Antonio Tricarico]

Lunedì scorso attivisti del movimento anti-corruzione dominicano Marcha Verde hanno circondato l’ingresso della centrale a carbone in costruzione a Punta Catalina, a sessanta chilometri a ovest di Santo Domingo, in Repubblica Dominicana.

Una sorta di “antipasto” della manifestazione svoltasi martedì mattina di fronte alla procura generale dello Stato, dove i rappresentanti delle decine di organizzazioni parte della Marcha hanno reso pubblica la loro richiesta alle autorità statunitensi, brasiliane e svizzere di riaprire l’indagine sulla corruzione avvenuta a Punta Catalina, perché ormai del tutto disillusi sull’integrità e la correttezza degli inquirenti dominicani. 

La vicenda rientra in uno dei filoni della mega inchiesta anti-corruzione Lava Jato e si riferisce in particolare all’impresa brasiliana Odebrecht, che insieme all’italiana Maire Tecnimont e la dominicana Estrella stanno completando la costruzione della controversa centrale a carbone. Alla fine del 2016, l’Odebrecht vuotò il sacco e patteggiò a Washington per ben di 3,2 miliardi di dollari, ammettendo le tangenti pagate fino al 2014 in Repubblica Dominicana, incluso per Punta Catalina. Stesse ammissioni di colpa avvenute in Brasile – anche per mazzette pagate in altri 11 paesi latinomericani – e pure in Svizzera, dove una parte dei soldi sono transitati. Peccato che proprio nel paese che aveva ospitato l’unità operazioni strutturate, ossia la “centrale tangenti” della Odebrecht a Santo Domingo, le autorità hanno sì accettato il patteggiamento del colosso delle costruzioni brasiliane, escludendo però proprio la centrale di Punta Catalina. 

É ormai chiaro a molti che le mazzette per la centrale siano servite per pagare la campagna elettorale del presidente Danilo Medina nel 2014, andata poi a “buon fine”. La scorsa settimana, il Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij) ha prodotto un nuovo leak dedicato proprio alla contabilità parallela della Odebrecht, da cui si desume nero su bianco che ben 39 milioni di dollari sono stati pagati per assicurare il contratto di costruzione di Punta Catalina modificando le clausole a vantaggio dell’impresa. Non a caso adesso quest’ultima, a fronte di presunti aumenti di costi, oltre i 2 miliardi pattuiti ha richiesto ben 700 milioni in più al governo locale. Questa cifra appariva già spropositata nel 2014, quando un concorrente cinese ne chiedeva soli 1,2. Si tratta di un impianto obsoleto, 750 MW “subcritici”, caccavelle a carbone che neanche i cinesi costruiscono più. Dopo 4 anni e 2 miliardi spesi, è stato realizzato solo il primo dei due gruppi, che in realtà ha problemi di funzionamento. Si aggiunga che anche la Tecnimont chiede il pagamento di altri 700 milioni di dollari per il lavoro fatto, anche in questo caso con un arbitrato commerciale a New York.

Dal 2018 la Procura di Milano, con il sostituto procuratore Isidoro Palma, indaga sulle responsabilità di Maire Tecnimont sul caso e cerca la collaborazione delle autorità dominicane. Da vedere se questa arriverà, visto come la Procura locale si è tenuta ben lontana dal rinviare a giudizio vari indagati anche per la vicenda di Punta Catalina. Così come ha chiesto che le autorità italiane indaghino sul caso, Re:Common si unisce alla richiesta della società civile dominicana alle autorità statunitensi, brasiliane e svizzere di riaprire l’indagine sulla base delle nuove prove svelate negli ultimi giorni. È giusto ricordare che le responsabilità italiane nel caso non si limitano a quelle presunte di Tecnimont. L’Unicredit ha prestato più di 60 milioni all’interno di un pool di banche assicurate per più di 600 milioni di dollari dalla SACE, l’assicuratore pubblico di “Stato Pantalone”. Dopo le condanne negli USA, gli istituti di credito e la SACE hanno commissionato ad un auditor esterno una revisione delle accuse di corruzione. Ma sulla base solo delle carte fornite da Santo Domingo, il consulente sembra abbia concluso che non ci sia stata corruzione. Speriamo che la solerte Procura di Milano accerterà a breve quello che UniCredit e SACE hanno forse troppo sbrigativamente escluso.

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