L’aumento dei prezzi del gas continua a dare filo da torcere ai governi dell’Unione europea, al punto da costringere il Consiglio europeo a convocare un consiglio straordinario dei ministri dell’Energia. L’incontro si è tenuto il 26 ottobre a Lussemburgo e si è concluso con un nulla di fatto. O quasi.
Dal confronto tra i ministri sono emerse posizioni molto diverse sulle misure a breve e medio termine da prendere per fare fronte al rialzo dei prezzi del gas e dell’energia elettrica. Non c’è stato accordo sulla proposta di adottare una qualche misura a livello europeo per poi essere implementata negli stati membri. L’esecutivo spagnolo ha visto cassata la sua idea di centralizzare in ambito Ue sia gli acquisti che il sistema di stoccaggio del gas perché altri governi preferiscono evitare revisioni della normativa energetica comunitaria. Tra i contrari c’è la Germania, che assieme ad altri nove paesi ha dichiarato che non avrebbe appoggiato revisioni della regolamentazione del mercato dell’energia elettrica europeo.
Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha reiterato la lettura dell’Italia, che addita tra le cause principali l’aumento della domanda globale e l’accelerazione nella decarbonizzazione. Ma nel comunicato finale la presidenza slovena dell’Ue ricorda invece che la decarbonizzazione è parte della soluzione e non del problema, e che bisogna aumentare la produzione di energie da fonti rinnovabili e l’efficienza energetica.
Secondo diversi paesi e la commissione stessa, l’aumento dei prezzi potrebbe collegarsi a comportamenti illegali tenuti dai principali fornitori di gas al blocco dell’Ue, che ora la Commissione deve indagare. Lo scorso martedì, il commissario per l’energia Kadri Simson ha confermato ai ministri che l’Antitrust europeo stava già raccogliendo evidenze, incluso attraverso un questionario circolato tra tutte le parti che potrebbero avere delle informazioni utili al caso, rispondendo al mandato dato dal consiglio europeo la settimana scorsa. Chiaramente il paese di cui si parla è la Russia, che copre oltre il 40% delle forniture di gas ai paesi europei, e contro cui l’Ue aveva già mosso un’indagine tra il 2012 e il 2018.
Come spiega Jack Sharples, ricercatore dell’Oxford Institute of Energy Studies, sentito dalla rivista Politico, “l’inverno scorso eravamo nella situazione opposta, la domanda di gas era crollata e I prezzi erano al minimo storico. I paesi europei non hanno avuto problemi con il fatto che I prezzi dei contratti a lungo termine con Gazprom fossero indicizzati al prezzo all’hub, né hanno esitato a usare al massimo la flessibilità dei contratti comprando meno gas da Gazprom. Un anno dopo la storia è diversa, I prezzi all’hub sono I più alti di sempre, ma anche se vorremmo che Gazprom offrisse più gas, dobbiamo ricordarci che l’azienda non è obbligata a farlo”. Altre voci di esperti sentiti da Politico sono di opinione diversa. Secondo un economista esperto in materia ma rimasto anonimo, Gazprom starebbe massimizzando i profitti, ovvero starebbe sospendendo le forniture per mantenere alti I prezzi, e questo sarebbe anti-concorrenziale.
Al netto delle conclusioni dell’indagine in corso, è chiaro che l’elefante nella stanza rimane la dipendenza dei governi europei dal gas e dal carbone, e dal mercato del gas che la stessa UE ha spinto per creare. Come segnalato in una lettera ai ministri firmata da diversi gruppi, tra cui ReCommon, è questa dipendenza che va risolta una volta per tutte, prendendo delle misure nell’immediato che non lascino nessuno indietro, in particolare le fasce più vulnerabili della popolazione. A pochi giorni dalla COP di Glasgow, governi e aziende parlano invece di “decarbonizzare il settore del gas” – e delle fossili in generale – ma non di come uscire davvero dalla dipendenza dalle fossili, né della dimensione di giustizia sociale e ambientale che il rincaro dei prezzi del gas e la volatilità dei mercati a cui siamo esposti sta rendendo sempre più evidente.