Le assicurazioni che investono (ancora) nel carbone: il caso Generali

La miniera di Turow in Polonia, foto Anna Uciechowska, CC-BY-SA-3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/), via Wikimedia Commons

[di Luca Manes] pubblicato su Lastampa.it

Il consiglio d’amministrazione di Generali ha finalmente approvato la sua tanto attesa strategia sul cambiamento climatico. Un provvedimento che segue di alcuni mesi azioni incisive prese da altre realtà del settore come Axa, Zurich e SCOR in materia di lotta ai cambiamenti climatici.

In estrema sintesi, la più grande compagnia assicurativa italiana aumenterà di 3,5 miliardi di euro il suo impegno finanziario in “progetti sostenibili”, mentre non effettuerà più investimenti in società legate al comparto carbonifero. Per quanto riguarda la sua esposizione corrente al settore del carbone, pari a circa 2 miliardi di euro, Generali si impegna a dismettere gli investimenti azionari e a disinvestire progressivamente da quelli obbligazionari. Attenzione, però, non si disinvestirà, specifica Generali, “in quei paesi dove la produzione elettrica e per il riscaldamento è ancora dipendente, senza alternative significative nel medio periodo, nel carbone”. Ovvero in Polonia, la nazione europea che invece di abbandonarlo, sta aumentando l’estrazione e l’impiego del carbone come fonte energetica.

Il vero grande assente della policy è però il business assicurativo. Al contrario di Axa, Zurich e SCOR, Generali continuerà ad assicurare impianti a carbone, come ad esempio la centrale di Kozienice in Polonia, tra le più inquinanti in Europa, e la miniera di Turów.

Per queste ragioni la nuova politica sul clima di Generali lascia molto insoddisfatta la rete internazionale Unfriend Coal, di cui fanno parte tra gli altri Greenpeace e Re:Common, che non più tardi di due settimane fa avevano lanciato Dirty Business, un rapporto che fa il punto sul ruolo svolto dalle compagnie assicurative proprio nel business del carbone polacco. L’analisi di Unfriend Coal parte da un dato molto significativo: dal 2013 le assicurazioni europee hanno sottoscritto almeno 21 contratti di copertura dei rischi (Generali ne ha siglati otto) e investito fondi per 1,3 miliardi di euro.

In Polonia si brucia sia antracite che lignite, quest’ultima è la tipologia di carbone più inquinante, impiegata nelle centrali di Ze Pak, Belchatów e Turów. Gran parte della lignite usata proviene dalla miniera a cielo aperto di Turów, da cui prende il nome la centrale, situata a pochi chilometri dai confini con Germania e Repubblica Ceca e da cui si estraggono 7,5 milioni di tonnellate l’anno del combustibile più inquinante che ci sia. E se l’Unione Europea ha in programma di decretare uno stop definitivo al carbone entro il 2030, val la pena ricordare che la miniera potrebbe rimanere in funzione almeno fino al 2044, sempre che i suoi gestori non siano costretti a cambiare idea prima. Come è facile immaginare, la miniera di Turów ha pesanti impatti transfrontalieri, in primis sulla qualità dell’acqua potabile di ben 30mila persone.

Il Leone di Trieste, insieme a AEGON, Allianz, Aviva, Nationale Nederlenden e AXA possiede l’8,6% della PGE. La principale compagnia energetica polacca ha in programma di aumentare di 5 gigawatt la produzione legata al carbone. L’impianto di Opole, che già emette 5,8 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, passerà così da 1.532 a oltre 3.000 megawatt. Altri 5 gigawatt saranno sviluppati da altre aziende locali. Ammonta invece a 2,2 miliardi di tonnellate il totale della lignite che sarà estratta da nuove miniere a cielo aperto.

Tra le molte cifre menzionate in Dirty Business, una lascia esterrefatti: 5.830 morti premature dovute alla polvere nera tra Polonia e paesi vicini. La stima, per difetto, è stata redatta nel 2016 dal WWF e da altre associazioni ambientaliste.

Ma a fronte di tutte queste indicazioni così esplicative, il governo e le imprese polacche tirano dritte per la loro strada, di fatto minando “preventivamente” i risultati della 24esima Conferenza delle Parti sul Clima (COP 24), che si terrà il prossimo dicembre a Katowice, a una centinaio di chilometri di distanza dalla centrale di Opole.

“Con i suoi programmi così aggressivi, il comparto carbonifero polacco sta compromettendo gli sforzi globali per combattere i cambiamenti limatici”, lancia il grido di allarme Kuba Gogolewski della Ong polacca Sì allo Sviluppo No alle Miniere.

Un grido che per il momento Generali non sembra voler ascoltare. Il Leone di Trieste si difende affermando che gli investimenti in Polonia corrispondono a una frazione del suo portafoglio totale (450 miliardi di euro). Una scusa che non regge, secondo Greenpeace e Re:Common, convinte che rispetto a competitor come la francese Axa Generali abbia adottato una politica fin troppo “conservativa”.

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