L’amnesia collettiva sulla voragine del Mose

Cantiere del Mose, 2013. Foto © AGF

[di Elena Gerebizza] pubblicato sul Manifesto del 15 novembre 2019

Venezia sommersa. Una marea così alta chi è vivo oggi forse non l’aveva mai vista. Due persone sono morte. Il presidente Giuseppe Conte parla di necessità di fare squadra, di “sistema Italia” che deve intervenire per risolvere i problemi che “Venezia si trascina da tempo”. Intanto il presidente della regione Veneto Luca Zaia e il sindaco Luigi Brugnaro chiedono lo stato di emergenza, che il Consiglio dei Ministri discute giovedì pomeriggio, mentre a Venezia si attende una nuova ondata di alta marea.

In uno stato di amnesia collettiva, la politica dimentica – o disconosce – le diverse ragioni per cui Venezia si trova oggi in questa situazione di emergenza drammatica. Una di queste è che quando negli anni Ottanta si è iniziato a parlare di Mose, non sono mancate le critiche rispetto al progetto in senso stretto: un’opera faraonica e tecnicamente complessa che sarebbe costata miliardi allo Stato italiano (quasi 6 miliardi di euro ad oggi). La sua complessità, secondo molti, sarebbe stata anche il suo punto debole: nel corso degli anni sono state tante le voci di esperti che hanno sollevato dubbi sulla possibilità reale del Mose di svolgere la propria funzione in maniera efficace, ovvero  proteggere Venezia dall’innalzamento del livello del mare.

Il tempo, il monitoraggio costante dei comitati locali, le denunce e in finale l’inchiesta e il processo sul Mose portato avanti dalla procura di Venezia hanno fatto emergere altri elementi per comprendere che in realtà c’era stato, forse, un malinteso sulla “principale” funzione del Mose, palese ma non esplicita. Ovvero generare un sistema di fondi neri articolato e distribuito trasversalmente alla politica italiana, al tempo stesso carburante non solo del Mose ma anche di quella “corruzione sistemica” di cui ha parlato la Procura, che ha il suo perno nel sistema delle grandi opere al di là del Mose (dal Passante di Mestre all’Expo di Milano, per citarne alcune) che in un circuito a spirale continua permette l’autogenerazione del sistema stesso.

La procura parlò di un Sistema Veneto con ramificazioni nazionali e internazionali, un “sistema corruttivo” che ha coinvolto decine di professionisti, imprenditori, funzionari pubblici e politici in posizioni chiave, che è riuscito negli anni a beneficiare di finanziamenti da parte dello Stato italiano e non solo. Tra il 29 aprile 2011 e 13 febbraio 2014 il Consorzio Venezia Nuova ha ricevuto prestiti per 1,5 miliardi di euro dalla Banca europea degli investimenti, la banca dell’UE. Oltre un quarto dei finanziamenti pubblici al progetto. La Bei dal canto suo non si è interrogata su quale fosse stato il reale utilizzo dei fondi erogati: il Consorzio sta ripagando i prestiti (con i fondi pubblici italiani) e quindi non c’è danno erariale per le casse dell’UE. Una valutazione discutibile, che accompagna quella della politica italiana articolata dalla voce di Matteo Renzi, e di altri dopo di lui, che hanno detto semplicemente che il Mose si deve completare.

Viene da chiedersi se parlare di “scandali”, come ha fatto Giuseppe Conte mercoledì, sia riduttivo del peso storico che la corruzione ha avuto nella storia del Mose, e del lascito che al netto degli arresti rimane anche oggi. Se sono stati usati materiali scadenti, se alcune delle paratie si sono arrugginite prima ancora dell’entrata in funzione del progetto, se il vento forte è un limite (ma a Venezia il vento forte non è un’anomalia) forse a monte c’è un problema che non può essere ignorato.

Ora il Consorzio Venezia Nuova è commissariato, e il Mose non è completato. A ottobre l’ultima prova tecnica non ha avuto buon esito, a conferma che forse completarlo non risolverà il problema di Venezia.

L’ossessione per la grande opera ci ha fatto perdere trent’anni per iniziare a mettere in atto delle soluzioni reali per Venezia e per il paese intero. Il Mose rischia di passare alla storia come l’ennesima grande opera parte del problema  e non  della soluzione, lasciando un fardello significativo per Venezia e per il paese intero: 20 o più milioni all’anno di costi di manutenzione sono tante, troppe risorse pubbliche che potrebbero essere destinate diversamente. Mentre si fa poco o niente per affrontare sia la corruzione (sistemica) che i cambiamenti climatici.

Sul tema, leggi anche la pubblicazione di Re:Common del 2015:

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