[di Antonio Tricarico] – pubblicato su Il Manifesto del 22/06/12
Tra i pochi discorsi formali dei capi di Stato e di governo che hanno avuto risalto nella prima giornata del vertice di Rio sullo sviluppo sostenibile è spiccato l’intervento del Presidente francese François Hollande. Il nuovo inquilino dell’Eliseo ha chiesto l’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie al fine di reperire risorse per interventi urgenti per lo sviluppo sostenibile.
Quella che è un’evoluzione della ben nota Tobin Tax, potrebbe senza dubbio generare ingenti entrate: si stima che con un’aliquota dello 0,1 per cento e se la tassa fosse applicata in tutto il mondo si racimolerebbero 655 miliardi di dollari l’anno. Nella sola Unione europea il conto ammonta a 200 miliardi di euro, il doppio dell’aiuto allo sviluppo mondiale disponibile oggi. Ma come ben noto la comunità internazionale, Regno Unito e USA in testa, non ha trovato un consenso sul tassare i capitali speculativi, né al G20 né a Rio.
Al contrario, nella ormai chiusa dichiarazione finale del vertice non vi è alcuna menzione di impegni finanziari da parte dei paesi ad economia avanzata per aiutare una transizione “verde” in quelli in via di sviluppo. Questi ultimi avevano chiesto da subito 30 miliardi di dollari l’anno da aumentare fino a 100 miliardi nel 2020.
Alle Nazioni Unite a New York partirà sì un processo per discutere il tutto, ma l’incertezza regna sovrana in tempi di crisi e austerità anche nel “ricco” Nord. La diatriba ricorda i sofferti negoziati sul clima, che alla fine del 2009 videro al vertice di Copenaghen i paesi più influenti al mondo convergere in pochi su un accordo, poi imposto a tutti gli altri, che prevedeva 30 miliardi per opere di mitigazione e adattamento climatico entro il 2012 e quindi 100 miliardi l’anno nel lungo termine. Il primo obiettivo difficilmente sarà raggiunto entro dicembre, e anzi molti stati hanno machiavellicamente conteggiato due volte gli aiuti allo sviluppo anche come aiuto per il clima. Dopo la beffa, l’inganno.
A Rio si rimanda alle istituzioni finanziarie internazionali, Banca mondiale in primis, di reperire risorse fresche per l’ambiente e l’economia verde. Ma dove? Sui mercati di capitale privati, nel cui ambito queste istituzioni si finanziano, o dove “fanno leva” con la parte limitata di fondi pubblici donati dai governi. La risposta non si è fatta attendere: la Banca asiatica di sviluppo insieme alle altre banche multilaterali si è impegnata a sviluppare un nuovo fondo per il trasporto sostenibile per ben 175 miliardi di dollari.
Dieci anni fa il vertice Rio+10 di Johannesburg aveva incoronato le partnership pubblico-private (PPP) come la soluzione per finanziare la difesa dell’ambiente, ma poco si è mosso da allora perché i privati non hanno “sborsato” come dovuto. Oggi il mantra delle PPP viene riproposto, ma guardando principalmente al settore finanziario privato che di risorse ne ha tante. Soprattutto nell’ambito del trasferimento di tecnologie, dove si prefigura un nuovo “schema per lo sviluppo delle capacità”, ma su base volontaria.
L’idea è chiara: come da tempo la Banca mondiale cerca di fare, bisogna allentare le regolamentazioni nei paesi in via di sviluppo per permettere anche ai fondi pensione e altri fondi privati di investire in infrastrutture più a rischio però “protette” da una qualche forma di assicurazione pubblica. La stessa idea che sta alla base dei project bond europei di cui oggi tanto si parla, probabilmente nel lungo termine destinati a creare nuovo debito pubblico pur di garantire i profitti privati.
Come sempre la Banca mondiale fa la prima della classe. Incassa nuovi fondi per il suo programma Waves per conteggiare e monetizzare la natura nel mondo e dare assistenza tecnica ai paesi del Sud su come creare i nuovi mercati per commerciare la natura, a partire da quelli di carbonio.
I banchieri di Washington avevano fatto il pieno già negli ultimi anni ospitando una dozzina di nuovi fondi sul clima, inclusi quelli per i progetti di compensazione nelle foreste, e diventando il gestore ad interim del nuovo fondo globale verde, dopo aver monopolizzato la Global Environmental Facility dal 1992 in poi. Che l’economia sia verde o marrone, i soldi li gestiscono sempre gli stessi.