La Via della Seta delle corporation

Di nuova Via della Seta e di mega-corridoi globali abbiamo trattato nel webinar di fine novembre insieme a Simone Pieranni, ma vista la centralità del tema ci torneremo spesso nei mesi a venire. Ora facciamo un po’ un esercizio di sintesi, riprendendo l’introduzione di un rapporto in inglese dal titolo “The Corporate Silk Road – A New Era of (e-)Infrastructure in Europe?” – pubblicato da ENCO, European Network of Corporate Observatories – che potete scaricare qui e a cui noi di Re:Common abbiamo contribuito con due parti molto rilevanti, una sul ruolo giocato dal gigante dello shipping e della crocieristica MSC e uno sulla centrale a carbone di Tuzla, in Bosnia. Quest’ultimo è un pezzo estremamente inquinante della nuova Via della Seta.


La neo-insediata Commissione europea aveva appena presentato il Green Deal europeo quando il mondo fu colpito dalla pandemia di Covid-19. L’obiettivo era quello di rielaborare gli investimenti infrastrutturali per renderli “a zero emissioni nette” di carbonio in Europa nei prossimi dieci o trent’anni. Tuttavia, divenne presto chiaro che la pandemia avrebbe avuto un impatto enorme sull’economia globale, con effetti inimmaginabili sulle imprese e sulla vita delle persone.

Molto era cambiato dal marzo 2019, quando il presidente cinese Xi Jinping si recò in Europa per una serie di incontri istituzionali. Dietro la sua visita c’era la “Belt and Road Initiative” (BRI), talvolta chiamata anche “Nuova Via della Seta”, un programma di investimento internazionale lanciato dalla Cina nel 2013. In occasione della visita, sono stati firmati diversi contratti di investimento tra imprenditori cinesi e aziende e governi europei. La BRI stava finalmente raggiungendo il Vecchio Continente, con potenziali grandi cambiamenti in vista.

Il riemergere della Cina ha avuto un impatto significativo sul commercio mondiale. Dagli anni Ottanta è diventata la porta d’accesso a catene di produzione globalizzate, dominate da multinazionali americane, giapponesi ed europee. La produzione industriale e manifatturiera cinese in rapida crescita ha fornito al mondo una miriade di prodotti e servizi. È diventata la potenza della globalizzazione, inizialmente al servizio delle aziende con sede nel Nord del mondo, ma ora sta affermando sempre più i propri interessi e quelli delle aziende nostrane.

Mega-corridoi infrastrutturali, chi vince e chi perde

Le infrastrutture necessarie per il trasporto di beni e servizi in tutto il mondo (porti, ferrovie, aeroporti, fabbriche e magazzini, sistemi di antenne e centri dati) si sono sviluppate a un ritmo simile. Attraverso queste “vene della globalizzazione” vengono trasportati più beni e servizi che mai. L’e-commerce si sta ulteriormente sviluppando attraverso la tecnologia della blockchain e i sistemi di automazione e sicurezza. L’attenzione si concentra maggiormente sulla localizzazione dei prodotti e sul follow-up. La tecnologia AI viene utilizzata per garantire la sicurezza dei porti e gli algoritmi ottimizzano il flusso dei prodotti, facilitando l’intermodalità e il consolidamento. I dati e i data center svolgono un ruolo chiave in tutto questo.

Secondo alcuni autori e attivisti, i “mega-corridori”infrastrutturali stanno rimodellando il mondo. La logistica come “principio organizzatore della produzione” sta portando a una riorganizzazione della produzione globale lungo mega-corridoi, con l’obiettivo di massimizzare i profitti e di sfruttare il più possibile i lavoratori.1 Investimenti quindi pensati intorno a sistemi di consegna just-in-time, e facilitati da un rapporto in costante evoluzione tra stato e capitale, i cui impatti sono ancora da vedere.

Le imprese e le nuove forme di partnership pubblico-privato giocano un ruolo chiave nello sviluppo di questi mega-corridoi, con un capitale più concentrato, più verticale e più mobile che mai. L’opaca complessità delle società permette loro di eludere le loro responsabilità sociali, ambientali e fiscali, lasciando che le comunità paghino il pesante costo della globalizzazione 2.0.

Dopo un secolo di commercio mondiale dominato da Stati Uniti ed Europa, gli attori economici e politici cinesi stanno ora recuperando terreno. Le imprese pubbliche e private cinesi (la linea di demarcazione tra loro può essere sfumata) sono ora alla pari con i loro concorrenti europei e americani, anche nel loro stesso cortile di casa. C’è stata una certa ironia nel vedere le aziende pubbliche cinesi acquistare infrastrutture europee che un tempo erano pubbliche ma che ora sono in gran parte privatizzate a causa di decenni di neoliberismo.

Il BRI comporta importanti investimenti infrastrutturali per collegare i mercati cinesi con il resto del mondo attraverso le rotte marittime e ferroviarie e attraverso i dati. Molti vedono il BRI come un sintomo della nuova assertività della Cina sulla scena globale. In Europa, è stata accolta sia dall’entusiasmo (da parte di governi o aziende desiderose di attrarre investimenti o di attingere al mercato cinese) sia dal pregiudizio e dal sospetto sulla minaccia percepita dell’ “imperialismo cinese”. C’è anche la più evidente rivalità tra Cina e Stati Uniti che entra in gioco, entrambi i paesi in lizza per il potere economico. La posizione dell’Unione Europea è stata a metà strada. Manca di una strategia economica coerente, ma ha deviato dalla parte delle imprese private, permettendo loro di essere ben posizionate per sfruttare le potenziali opportunità. I media e l’opinione pubblica hanno tuttavia espresso preoccupazione per la crescente presenza di capitali cinesi nell’UE, anche nei paesi confinanti, e per il rischio di perdere il controllo di preziosi beni economici e di diventare dipendenti dai nuovi padroni asiatici.

Capitale europeo, capitale cinese. Dal Mare del Nord al Mediterraneo

Questo rapporto, tuttavia, fornisce un quadro più complesso della situazione. Mostra come il capitale europeo e quello cinese sono in realtà allineati e stanno sviluppando il commercio globale e le infrastrutture in Europa e nel mondo in uno spirito ibrido di cooperazione e concorrenza. Ciò avviene a spese delle persone e del pianeta, attraverso una continua mercificazione dei beni pubblici e comuni orientata al profitto.

“Da Marsiglia alla Cina, attraverso l’Africa”, scritto dall’Observatoire des Multinationales, mostra come l’attrazione degli investimenti cinesi sia diventata una priorità chiave per gli imprenditori e i leader politici di Marsiglia, nel sud della Francia, oltre che una comoda scusa per spingere la propria agenda. Il porto di Marsiglia è stato ampliato per accogliere le crescenti relazioni commerciali con la Cina, che potrebbero non avere mai fine. Nel frattempo, le grandi società con sede a Marsiglia, come la CMA-CGM, stanno cercando di monetizzare la sua posizione storica di hub commerciale con l’Africa per sviluppare alleanze strategiche con le società cinesi.

In “Le promesse della Nuova via della seta in Italia”, Re:Common mostra come l’interesse degli investitori cinesi per l’espansione dei porti in Italia sia stato usato dal governo per spingere la legislazione che avrebbe istituito “zone economiche speciali” a misura di investitore, convenientemente situate vicino ai porti, soprattutto nel Sud Italia. L’articolo esamina i reali beneficiari dei mega-corridoi infrastrutturali. Con la pandemia di COVID-19 e la conseguente crisi economica, è diventato ancora più evidente che il settore dello shipping è ora un attore chiave, con una manciata di aziende che operano in un quasi-oligopolio a causa di acquisizioni e alleanze commerciali, anche con le società cinesi. Tra queste c’è la società italo-svizzera MSC, famosa per le sue crociere turistiche, ma anche un attore chiave a livello mondiale nel settore dello shipping, dei servizi portuali e della logistica. Corporate Watch esamina il modello di business e la struttura aziendale di MSC.

Il rapporto di Gresea, basato su due casi studio, illustra come il Belgio, che per lungo tempo è stato un importante hub logistico europeo, sia recentemente diventato la sede di importanti aziende cinesi attive nel settore, che svolge un ruolo essenziale nel capitalismo globalizzato. Il rapporto descrive in dettaglio l’arrivo del colosso privato dell’e-commerce Alibaba a Liegi e della compagnia di navigazione pubblica COSCO nel porto di Zeebrugge. Il rapporto esamina i loro rispettivi progetti di investimento, il ruolo che questi svolgono nella strategia globale delle aziende e, più in generale, nell’iniziativa Belt and Road e, infine, individua il loro impatto sulle regioni interessate.

Nel suo rapporto “Smart security nei porti catalani: verso un nuovo modello di sorveglianza, privatizzazione e abusi dei diritti umani”, l’Osservatorio dei diritti umani e delle imprese nella regione del Mediterraneo (ODHE) mostra come i porti, in quanto infrastrutture critiche per i servizi essenziali e il funzionamento delle catene di fornitura globali, stanno sviluppando nuovi ecosistemi di sicurezza per affrontare e scoraggiare nuove sfide e minacce come gli attacchi cibernetici. L’ODHE fornisce una panoramica degli ecosistemi di sicurezza dei porti catalani, analizzando come il quadro giuridico è cambiato e come questo ha influenzato le minacce e i rischi. Il rapporto esamina le principali società di sicurezza private attualmente operanti e le tecnologie che utilizzano, rivelando come gli sviluppi della sicurezza portuale stiano facendo da sfondo a gravi violazioni dei diritti umani e ad altre attività controverse.

C’è una dimensione trasversale nell’agenda globale delle infrastrutture, in cui l’iniziativa Belt and Road gioca un ruolo importante. L’impegno per una logistica e una connettività sempre maggiori, al fine di garantire una consegna globale just-in-time, è estremamente dispendioso in termini di energia e dipende fortemente dall’economia dei combustibili fossili. Sebbene un numero crescente di operatori logistici dichiari di essere impegnato a favore del clima e della riduzione della propria impronta di carbonio, la semplice verità è che un modello economico basato sulla massimizzazione dell’estrazione, dello sfruttamento e del profitto, a beneficio di pochi, non può essere sostenibile o in qualche modo “amico del clima”.

Questo è evidenziato nel rapporto “Come la BRI e la disponibilità della finanza cinese indebolisca lo stato di diritto nei Balcani occidentali. Il caso della centrale a lignite di Tuzla 7 in Bosnia ed Erzegovina”, di Bankwatch Romania e Re:Common. Il rapporto approfondisce uno dei progetti più inquinanti d’Europa, ora in fase di espansione da parte del capitale pubblico e privato cinese ed europeo, mettendo a rischio la salute della comunità di Tuzla e delle città vicine e mettendo a repentaglio le riserve idriche e l’ambiente.

La disuguaglianza tra regioni e paesi, così come tra classi sociali e popolazioni, è un altro aspetto che deve essere affrontato. Se questa traiettoria verso le mega-infrastrutture si sta manifestando in modo diverso in Europa, come sta prendendo forma in altre parti del mondo? Come si sta sviluppando lo sviluppo di strade, ferrovie, fabbriche e magazzini nei paesi storicamente marginalizzati dell’economia globale? Nonostante la sua ampia presa, tuttavia, il mondo della logistica sta mostrando alcune crepe; la pandemia COVID-19 ha fatto scattare l’allarme ed ha messo a nudo i vincitori e i vinti della produzione globale. Mentre i negozi locali e le piccole imprese sono stati temporaneamente paralizzati, le grandi aziende e alcuni settori, tra cui la logistica industriale e al dettaglio, hanno ancora beneficiato del sostegno statale e hanno ottenuto enormi profitti. C’è anche la questione di come il resto del mondo reagirà a questo nuovo capitale globale ristrutturato e la questione ancora più pervasiva dell’accesso alle ultime risorse naturali rimaste. La guerra commerciale, che ha a che fare con la tecnologia, è solo l’inizio di un conflitto più grave?

Sondare e trovare risposte a queste domande ci permetterà di prevenire una valanga infrastrutturale destinata a distruggere il pianeta. Sembra che la storia stia accelerando e che siamo destinati a diventare testimoni attivi di cambiamenti un tempo impensabili.


1Nicholas Hildyard (2020), Corridors like factories: supply chains, logistics and labour. Is this the world you want? https://counter-balance.org/publications/corridors-as-factories-supply-chains-logistics-and-labour

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