[di Antonio Tricarico] 20 giugno 2012 – pubblicato su Il Manifesto
Alla fine, dopo una notte di attesa e di continui rimandi, ieri mattina il governo brasiliano ha imposto con forza la sua linea al termine di un negoziato confuso e problematico, scodellando il testo della dichiarazione finale del vertice di Rio. Molte discussioni e punti controversi sono così stati “tagliati”. La presidentessa Dilma Rousseff ha sentito l’urgenza di avere a disposizione un testo quasi finale da distribuire al G20 di Los Cabos, in modo da ricevere una legittimazione anche dai tanti presidenti e capi di Stato, Obama e Merkel in testa, che non si sono presi la briga di volare fino a Rio de Janeiro viste le persistenti turbolenze economiche e finanziarie a livello mondiale.
Per i padroni di casa il vertice sullo sviluppo sostenibile si deve chiudere a tutti i costi con una qualche forma di consenso. Ma c’è di più: oramai il Brasile, come gli altri paesi Brics, ha l’ambizione di accreditarsi quale potenza globale capace di gestire i conflitti e negoziare materie economiche alla pari con i paesi più forti, non necessariamente nell’interesse del resto delle realtà in via di sviluppo. Proprio la parte “finanziaria” del testo, cara al gruppo dei G77 che racchiude 130 paesi in via di sviluppo, è stata “spostata” al G20 nella convinzione che il vertice di Rio non sia adatto per trattare tali questioni. D’altronde i Brics hanno finalmente messo sul tavolo i contributi destinati all’Fmi per salvare l’Europa dalla crisi, potendo così chiedere qualcosa in cambio.
Mentre ieri a Rio dilagavano le proteste di vari governi e della società civile, la Rousseff ha mostrato a Los Cabos un testo al ribasso, chiedendo un’accettazione del compromesso sui fondi richiesti dai paesi in via di sviluppo per pagare la transizione sostenibile verso la presunta economia verde. In cambio i paesi ricchi l’hanno spuntata su molte questioni, annacquando gli impegni siglati alla conferenza di Rio del 1992 e ricevendo il via libera a un’idea di green economy che privilegia la logica di mercato senza cambiare gli equilibri esistenti, né preservare l’ambiente.
Analizzando il testo approvato a fatica dalla conferenza dei negoziatori, sorprende che la definizione di economia verde non faccia riferimento al principio 7 “di Rio” su una responsabilità condivisa ma differenziata tra paesi del Nord e del Sud del mondo. Analogamente manca alcun riferimento forte al bisogno di controllare l’operato delle multinazionali e del settore privato. Una netta vittoria per gli Usa. Di contro le pressioni della società civile e di alcuni governi del Sud sono riuscite a tenere fuori dal testo il riferimento al commercio dei servizi degli ecosistemi e la forte enfasi sul settore privato come principale attore dell’economia verde.
L’Unione europea è riuscita a strappare il processo richiesto per la definizione dei nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile che dopo il 2015 andranno a rimpiazzare quelli del Millennio, che molto probabilmente non saranno raggiunti. Di nuovo le questioni economiche e l’approccio differenziato Nord-Sud rimangono fuori da questo processo. Parimenti il programma delle Nazioni Unite sull’ambiente, dominato da visioni liberiste, sarà rinforzato, anche se non come pretendeva l’Ue prima del vertice. La menzione del diritto umano all’acqua per fortuna resiste, ma nella sezione su energia manca alcun impegno serio a tagliare i sussidi ai combustibili fossili
Il Sud del mondo porta a casa qualcosa, ma non tutto quello avanzato nella sua proposta di compromesso per la sezione sui mezzi di attuazione degli impegni, ossia finanza e trasferimento di tecnologie. Sarà definita una strategia per finanziare lo sviluppo sostenibile in un processo intergovernativo alle Nazioni Unite, nel cui ambito si potrà discutere anche di questioni economiche. Ma non c’è nessun impegno sui fondi, se non l’invito alle solite e controverse istituzioni finanziarie internazionali a produrre risorse adeguate per i poveri. Gli impegni già presi, ma ormai vuoti, sull’aiuto allo sviluppo sono ribaditi per far contenti i paesi africani. In pochi però ci credono. Soprattutto, il trasferimento di tecnologie rimane su base volontaria, una barzelletta se si pensa alle occasioni già perse negli ultimi decenni seguendo questo approccio.
Da vedere ora quale paese avrà il coraggio, anche tra i ranghi del Sud del mondo, di rompere le uova nel paniere al governo brasiliano nel giorno di apertura del vertice. Lo stesso fronte potrebbe finire per spaccarsi, come successo in altri casi nei negoziati sul clima. Alla fine è l’ennesimo fallimento, forse un punto di non ritorno: in futuro sarà difficile riporre fiducia nei processi Nazioni Unite. Ma i movimenti mondiali prenderanno le strade di Flamengo proprio quando Dilma inizierà a parlare al vertice ufficiale, rigettando l’economia verde delle èlite globali e cercando altre strade per risolvere le crisi del pianeta e del capitalismo.