[di Antonio Tricarico]
Di fronte alla sentenza di condanna con rito abbreviato di due intermediari coinvolti nello scandalo di corruzione che ha macchiato l’acquisizione di Eni e Shell della licenza Opl 245 in Nigeria, non si è fatta attendere la risposta del governo.
A parlare, e verrebbe da dire che non è una sorpresa, è stato il vice-premier e ministro degli Interni Matteo Salvini, molto netto nella sua difesa della più grande azienda italiana, ancora partecipata dallo Stato per il 30 per cento.
Salvini ha ribadito la stima e il ringraziamento per l’amministratore delegato del Cane a Sei Zampe, a processo a Milano per la mega tangente nigeriana, nonostante nell’ambito del negoziato per l’Opl 245 Claudio Descalzi sia stato definito dal Gup Giusy Barbara nella sua sentenza come “prono di fronte alle pretese di Luigi Bisignani, cioè di un privato cittadino il cui nome era già emerso in alcune delle inchieste più scottanti e note della storia giudiziaria italiana” (Bisignani è un pluri-condannato per la poco patriottica vicenda P4, nonché per la vicenda Enimont nell’ambito di di Mani Pulite).
Salvini non commenta le sentenze, né il fatto che secondo la stessa Gup è “provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che effettivamente nell’ambito dell’operazione di acquisto della licenza di prospezione petrolifera Opl 245 alcuni manager del gruppo petrolifero italiano abbiano progettato e verosimilmente realizzato” il “piano criminoso di incrementare il prezzo pagato da Eni in modo da ottenere” la “restituzione in nero di una consistente somma di denaro nell’ordine di 50 milioni di dollari, da spartirsi tra loro”.
D’altronde anche la Lega con sentenza in giudicato si è presa in maniera indebita 49 milioni di soldi pubblici con grande agio. Con lo stesso agio Salvini sente l’esigenza di ribadire la sua stima a chi si fa dettare la linea da Bisignani, che è stato per altro caro amico di Paolo Scaroni, ex ad dell’azienda e anche lui a processo a Milano. Così il vice-premier sembra smentire le inquietanti rivelazioni del giudice, ma non solo.
Ringrazia “Descalzi e l’Eni per quello che fanno in Italia e nel mondo”, perché “un sistema paese dovrebbe tutelare le sue aziende migliori”, quasi ad alludere al fatto che indagini e processi per corruzione internazionale (oramai un leitmotiv della storia di Eni negli ultimi dieci anni) non lo fanno e tradiscono così l’interesse italico. Poco conta se poi la principale multinazionale nostrana in realtà si comporti o meno come la migliore. Si pensi solo al processo in corso a Potenza, che la vede imputata per disastro ambientale, a possibile danno della salute di cittadini italiani.
Fideisticamente il vice premier sembra dirci che l’Eni è l’Italia, punto. E pur se pagasse tangenti e qualche manager ne approfittasse, rimane sempre la migliore e va difesa a spada tratta. Va detto che Salvini non è l’unico e si muove sullo stesso solco di Matteo Renzi, che quando era premier nel 2014 si era scagliato contro la procura di Milano non appena era stata rivelata l’indagine sull’affare Opl 245, accusando i magistrati di sensazionalismo a mezzo stampa e di danneggiare il campione italiano. Insomma l’Eni va ringraziata e stimata dogmaticamente, a prescindere da quello che fa, e a prescindere se destra o sinistra sono al potere. Chi osa “controllare” il modus operandi del cane a sei zampe non è un patriota.
I prossimi passi della narrazione nazionalista bipartisan li conosciamo: “attenti, o voi che criticate l’Eni, perché fate il gioco del complotto internazionale che vuole affossare il campione italiano e l’Italia”. Poi, “è colpa dei corrotti nigeriani che estorcono alla povera e onesta Eni tangenti”, e a chi muove qualche obiezione timidamente etica, “perché le altre oil major non fanno lo stesso?” . In ultima istanza “avere quel petrolio e gas è questione di sicurezza nazionale, a qualsiasi costo, incluso pagare talvolta tangenti”.
In realtà la giudice Barbara è stata lungimirante e ha sollevato lei stessa la questione dell’interesse nazionale: “Nell’ottica italiana appare poi ancora più grave per il coinvolgimento della principale società del nostro Paese, di cui lo stesso stato italiano è il maggior azionista, con un evidente danno anche di immagine all’intera collettività nazionale”. Ma il sovranismo dei vari Mattei nazionali che si sono succeduti al potere non può concepire una credibilità nazionale che non si basi sul fregare e sconfiggere qualcun altro, ma sul semplice valore etico dell’onestà.
Che dire poi delle forze del cambiamento salite al potere urlando ‘onestà’ a ogni piè sospinto? Ci ricordiamo Beppe Grillo all’assemblea degli azionisti del 2015, allorché sbraitava ai limiti della querela contro l’Eni “che depreda” i paesi africani e distrugge la ricchezza nazionale (riferendosi alle difficoltà di allora della Saipem). Nonché il ‘veltro’ Alessandro Di Battista che ritornerà, e che, ancora in Italia, si agitava dai banchi parlamentari sollevando, per altro con ampio ritardo, la questione Opl 245. I pentastellati brindano oggi alla nuova legge “spazza corrotti”, che a mo’ di ghostbuster in salsa italica stanerà e renderà innocui i campioni di corruzione nostrani.
Noi vorremmo più modestamente porci una domanda molto semplice: di fronte alla sentenza del giudice Barbara, fermo restando il garantismo sulla posizione giudiziaria di Descalzi (e degli stessi intermediari Obi e Di Nardo, condannati che potrebbero però fare appello), non ci sarebbe l’opportunità politica di quanto meno sospendere il chiacchierato amministratore delegato in nome dell’interesse nazionale e per rispetto dei principali azionisti dell’Eni, ossia 60 milioni di italiani?
Caro primo ministro Giuseppe Conte, una tale scelta, sarebbe troppo a favore e rispettosa del popolo, di cui lei è avvocato nazionale, per non dire una scelta ‘populista’ come a lei piace dire?
Se la gestione della situazione giudiziaria di Eni è la misura per stimare il cambiamento in corso nel paese con il governo giallo-verde, è indubbio che dietro agli annunci e ai brindisi ci si muove in piena continuità con la storia passata repubblicana in cui chiunque al potere non ha potuto che stimare, ringraziare, riverire e difendere quello che in diversi hanno definito il vero Stato parallelo italiano.