La pace, il condizionatore e le nostre dipendenze

Dopo 40 giorni di guerra e un dibattito senza fine sulle sanzioni alla Russia, anche in Italia è arrivato con forza il dilemma sull’imporre o meno un embargo energetico totale, inclusi carbone, petrolio e gas, per tagliare il principale meccanismo di finanziamento della macchina bellica guidata da Vladimir Putin. Un dibattito che ha spaccato la Germania e alla fine l’Unione europea.

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi, piccato dalle domande poste in conferenza stampa, ha messo l’uditorio davanti a un aut aut: la pace fermando anche l’import di petrolio e gas dalla Russia o il nostro benessere impersonificato dagli energivori condizionatori. Di emergenza in emergenza, i condizionatori diventano così i “nuovi runner”. Insomma, se fossimo coerenti e fermassimo subito il flusso energetico dalla Russia, pagheremmo un prezzo tutti noi provando ad ottenere una pace il prima possibile.

Si succedono le analisi su quale sarebbe il vero impatto economico se avessimo subito meno petrolio e gas, chiudendo i rubinetti con la Russia. Il documento di programmazione economica parla di fino a 3 punti di PIL persi . Stime paragonabili a quelle menzionate in Germania e altrove, comunque inferiori al tonfo del 9 per cento del 2020 in Italia a causa della pandemia.

Forse la risposta alla domanda di Draghi non va trovata nei numeri economici, quanto ponendosi invece un’altro quesito, ancora più serio. Molti di noi hanno avuto in famiglia persone con delle dipendenze o è stato vicino a chi ne ha sofferto: alcool, droghe, gioco d’azzardo o altro. Sappiamo quindi quanto sia difficile uscire dalle dipendenze gravi. È una lotta durissima e bisogna pagare un prezzo, soprattutto nel breve termine. Se fossimo onesti, dovremmo dirci senza giri di parole che la nostra società ha una dipendenza cronica dall’import di combustibili fossili e in particolare da dittatori o regimi ben poco democratici. Lo abbiamo fatto per decenni chiudendo gli occhi e accampando scuse, proprio come fa chi ha una dipendenza che non vuole ammettere.

Non sono serviti 30 anni di negoziati internazionali contro il cambiamento climatico o le grida di dolore dei popoli devastati, che soffrono la maledizione della presenza di combustibili fossili nel loro sottosuolo. Ma proprio come quando si inizia a realizzare la propria dipendenza, ci si illude subito che si ppossa uscirne piano piano. Riduciamo un po’, ancora qualche dose o giocata, un ultimo bicchiere. Dai smettiamo con il carbone, proprio la roba più inquinante, e poi un domani anche il resto. E poi ci sono subito le ricadute: andiamo dal dittatore dietro l’angolo, in Algeria o in Egitto, e prendiamocene un altro po’. Che sarà mai, poi smettiamo. Tutto si fa, pur di non accettare che per uscirne davvero va pagato un prezzo e non ci sono sconti che reggano.

Se volessimo davvero farla finita e cambiare, dovremmo avere il coraggio di accettare la sofferenza ed il prezzo da pagare smettendo da subito di avere l’energia russa come inizio vero della nostra uscita dal fossile, russo e non russo. Basta ascoltare il petulante monito di Confindustria, degli economisti saputelli o di chi di brama affari fossili con la Russia e i dittatori, pur di continuare a fare lauti profitti. Perciò la vera domanda è se vogliamo farla davvero finita, per la pace, ma anche per il clima e soprattutto per guarire una volta per tutte noi e la nostra economia.

Qualcuno obietterà che i governanti ci hanno spinto in questa dipendenza dal fossile, che non ci è stata data scelta. Sì, però l’obiezione ricorda molto le scuse di chi ha dipendenza da qualcosa, che da sempre la colpa a qualcun altro. Certo, che le élite hanno una responsabilità decennale, e l’accumulazione di profitti e potere è spesso avvenuta grazie ai combustibili fossili e alla combutta con i dittatori che li fornivano. Ma non c’è scusa che tenga per noi cittadini che abbiamo una dipendenza grave. Ogni cambiamento richiede uno sforzo e un prezzo da pagare. I veri statisti lo direbbero chiaramente alla popolazione, ma incoraggerebbero questa anche ad accettare il prezzo da pagare nel breve termine, a partire dalle forze sociali. La transizione fuori dal fossile richiede sacrifici, ma chi ha beneficiato di più del bengodi fossile deve pagare il prezzo più alto in nome dell’equità sociale a livello nazionale ed internazionale. Per questo, il paragone di Draghi del condizionatore è fuorviante, poiché mette tutti sullo stesso piano sociale, chi il condizionatore non ce l’ha e chi ne ha troppi. Maschera anche, e ancora una volta, che il caro prezzo che stiamo già pagando per l’energia è così caro proprio perché il governo ha scelto di favorire – con fior fiore di sussidi nascosti – un sistema energetico incardinato nelle fossili, che premia silenziosamente le conversioni dal carbone al gas per la produzione di energia, e gli investimenti in nuovi gasdotti e terminal GNL, ma ci fa pesare ogni euro che potrebbe essere destinato alle rinnovabili.

La gestione della crisi pandemica ci dimostra che nelle economie avanzate abbiamo tutte le risorse, dalle banche centrali alla spesa pubblica, alle amministrazioni, alla solidarietà per poter pensare e realizzare l’impossibile, se vogliamo. La domanda è quindi se vogliamo pagarlo subito questo prezzo, per emanciparci dalle dipendenze, per davvero, e riprenderci un futuro diverso, più giusto, più sostenibile, più democratico e finalmente senza i poteri fossili, russi, esteri e nostrani, e se vogliamo che questo prezzo sia distribuito con equità invece di farlo ricadere sulle spalle di chi non ha voce.

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