La BEI stanzia 1,5 miliardi di euro per il TAP. Nonostante tutto…

Lavori per la tratta del TAP in Grecia, ottobre 2016, foto Re:Common

Dopo due anni e mezzo di tentennamenti, nel tardo pomeriggio di ieri la Banca europea per gli investimenti (BEI) ha deciso di finanziare il gasdotto Trans Adriatico (TAP) con un prestito di 1,5 miliardi di euro. Nonostante tutto.

E in questo tutto cosa ci mettiamo? Beh in primis il serio rischio che i processi politici che hanno portato la Commissione europea a “scegliere” il TAP e il resto del Corridoio Sud del gas come progetti di “priorità” europea siano viziati da uno dei più grandi scandali di corruzione e riciclaggio di soldi degli ultimi decenni.

In Italia se n’è parlato poco, nonostante la procura di Milano sia stata la prima a muoversi già nel 2016 per fare chiarezza sui 2,3 milioni di euro transitati tramite società offshore dall’Azerbaigian in un conto corrente riconducibile all’ex parlamentare dell’UDC Luca Volontè. Quasi un anno dopo, la macchina dei soldi azeri transitati in Europa tra il 2012 e il 2014 è emersa in tutta la sua imponenza: oltre 2 miliardi di euro, che hanno unto gli ingranaggi centrali e periferici di un’UE in piena crisi con la Russia. Emergeva un nuovo “alleato”, che avrebbe garantito la “sicurezza energetica” all’Europa. Ma ne siamo davvero sicuri?

Evidentemente nonostante il lavoro in corso in diverse procure, un’indagine interna al Consiglio d’Europa e una interna alla Danske Bank (usata come veicolo per il riciclaggio, e forse la corruzione), la banca di investimento dell’UE si sente sicura di poter garantire che questo miliardo e mezzo di soldi pubblici non finiranno nelle mani sbagliate. La nostra denuncia, e di numerosi gruppi a livello europeo, è che invece i soldi per il TAP alimenteranno due governi autoritari, Turchia e Azerbaigian, e forse un terzo, visto che gli interessi russi nel progetto sono ben evidenti.

Nel tutto ci mettiamo anche altro però. La resistenza dei territori interessati dalla costruzione, che abbiamo documentato già dal 2014, la violenza e il vuoto democratico in Turchia e in Azerbaigian, ma anche in Grecia, in Albania e in Italia, dove lo stato ha imposto un progetto inutile a comunità che hanno usato tutti gli strumenti messi a disposizione dalla nostra “democrazia” per denunciare violazioni della legge, pratiche a tinte fosche, e soprattutto assenza di consultazione con chi vive dove il progetto dovrà essere costruito.

Ci mettiamo inoltre un contesto in cui questo grande gasdotto, seppure rispettasse l’ambiente e il volere della popolazione, seppure non fosse pura estrazione di ricchezza nelle mani di pochi, rimarrebbe sempre e comunque una grande opera inutile. Non solo per l’Italia, ma per l’Europa intera. Un progetto che costa troppo, e che ci vincolerebbe per i prossimi quarant’anni a un modello produttivo e energetico vecchio e distruttivo per il Pianeta e per le nostre vite.

“Questa decisione mette la parola fine alla credibilità della BEI nella lotta alla corruzione, nel rispetto della democrazia e degli stessi principi cardine dell’UE a cui la Banca dovrebbe rispondere. Invece di aprire una seria indagine interna sulle denunce ricevute, e di chiarire il coinvolgimento o meno della propria struttura nello scandalo dell’Azerbaijani Laundromat, la Bei ha preferito legare a doppia mandata il futuro energetico europeo a due dittature come la Turchia e l’Azerbaigian” ha dichiarato Elena Gerebizza di Re:Common.

“La Commissione europea parla di lotta ai cambiamenti climatici e impegni europei per la riduzione delle emissioni e poi spinge affinché la BEI finanzi un mega gasdotto che secondo scienziati e analisti rischia di avere un impatto comparabile a quello del carbone. Oggi la BEI e la Commissione hanno mostrato a tutti i cittadini europei il poco valore delle loro parole in materia di transizione energetica” ha aggiunto Alessandro Runci.

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