La Banca Europea per gli Investimenti, un nemico del clima?

Attivisti davanti alla sede della BEI a Lussemburgo per chiedere di fermare i finanziamenti ai combustibili fossili. Foto 350.org, 7 giugno 2019

[di Elena Gerebizza]

Dopo l’apertura della procedura di infrazione verso l’Italia da parte della Commissione europea, il ministro dell’Economia Giovanni Tria e il debito pubblico italiano sono al centro dell’attenzione. Ieri Tria ha provato a rassicurarci dal Giappone, dove ha partecipato al G20 dei ministri delle finanze, incontro in cui, come ha dichiarato all’Ansa, si è parlato di temi globali e “non di Italia”, ma è chiaro che la tensione con Bruxelles rimane alta.

Questa settimana il ministro parteciperà a un altro incontro di alto livello, anche questo ha a che fare con tematiche globali, con il futuro del nostro paese e non solo. Venerdì mattina i ministri delle finanze europei si incontreranno in Lussemburgo nella veste di governatori della Banca europea per gli investimenti (BEI), la banca di investimento dell’Unione europea. Fondata nel 1957, la BEI ha compiuto da poco sessant’anni, eppure rimane un attore per lo più sconosciuto al grande pubblico. Al punto che pochi o nessuno parlano di questo incontro.

Eppure basterebbe guardare ai grandi progetti infrastrutturali in Italia, alle raffinerie, ai gasdotti, ai depositi di gas, alle acciaierie e alle autostrade: pochi sono i progetti a non avere ricevuto sostanziosi finanziamenti dalla Bei. Comprese le mega opere più controverse, dal Mose al gasdotto Tap, di cui potremmo dire che senza l’intervento della BEI forse sarebbero rimasti lettera morta.

E basterebbe altrettanto poco per sapere che la stessa banca – proprio in questi mesi di grandi mobilitazioni per il clima – sta ridefinendo la propria politica di prestito nel settore energetico.

In molti in Europa la chiamano  “la banca dei combustibili fossili”, perché negli ultimi decenni e senza troppe remore ha finanziato l’espansione del settore in Europa e al di fuori dei suoi confini. Ha sposato la narrazione della “sicurezza energetica” come priorità su tutte, ha seguito le indicazioni della Commissione europea – che essa stessa siede nel board dei governatori della banca, assieme ai ministri delle finanze – e dei governi degli Stati membri, e a volte è andata anche oltre, divenendo promotrice di investimenti non solo devastanti, ma anche eticamente discutibili. Ad esempio quelli in un fondo di investimento che opera nel settore energetico in Nigeria, nonostante questo investisse in società attive nel settore petrolifero che venivano usate da un ex governatore dello stato del Delta per riciclare soldi che aveva rubato alle casse del suo paese.

Finché la BEI non smetterà di investire nel settore estrattivo, non potrà esserci cambiamento vero in materia di lotta alla crisi climatica. Purtroppo finora la BEI ha preso in considerazione l’impatto sul clima dei propri investimenti solo a parole, continuando a oliare le maglie di un sistema estremamente impattante. Chiedere un cambiamento oggi, che possa garantire un futuro sostenibile e giusto per le nuove generazioni, significa anche chiedere un cambiamento radicale alla BEI, da dove investe e a come influenza l’economia europea e globale. Per questo qualche giorno fa una cinquantina di attiviste e attivisti hanno organizzato un’azione in Lussemburgo, davanti al quartier generale dell’istituzione, protestando contro i suoi investimenti nei combustibili fossili.

E per questo è legittimo chiedere cosa dirà il ministro Tria al board di venerdì e quale sarà la posizione del governo italiano su questo tema cruciale.

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