La Banca Europea per gli Investimenti dice addio ai combustibili fossili!

Protesta davanti alla sede della Banca Europea per gli Investimenti – foto 350.org – Twitter

[di Elena Gerebizza]

In un paio d’ore la notizia ha fatto il giro del mondo: la Banca Europea per gli investimenti (BEI), la banca pubblica dell’UE e una delle più grandi istituzioni finanziarie pubbliche al mondo, non finanzierà più l’industria fossile.

La Banca, da sempre tra i principali sostenitori di mega progetti controversi per ragioni ambientali, climatiche e non solo, sta rivedendo la propria politica di prestito nel settore energetico. Dalla firma dell’accordo di Parigi in poi, si è trovata sempre più sotto il fuoco incrociato di governi e movimenti che chiedono un reale cambio di rotta a una delle più grandi istituzioni finanziarie pubbliche al mondo. A inizio giugno, l’incontro dei ministri delle Finanze europei – che siedono nel board della BEI – è stato oggetto di un’azione da parte di attiviste e attivisti per il clima, che chiedono alla banca di uscire senza se e senza ma da investimenti nei combustibili fossili.

Nei mesi successivi, lo staff della banca ha lavorato sul testo della nuova politica di investimento, che è stata pubblicata sul sito della Banca venerdì pomeriggio. Un testo che dice a chiare lettere che l’istituzione non finanzierà più progetti che utilizzano combustibili fossili, inclusi progetti di estrazione di gas e petrolio, infrastrutture dedicate per l’utilizzo e il trasporto di gas naturale, produzione di energia o impianti di riscaldamento che funzionano con combustibili fossili. E che rappresenta un passo avanti per una banca che solo l’anno scorso ha investito più di 2,4 miliardi di euro nel settore (buona parte di questi per finanziare il contestato gasdotto Tap).

Come nello stile della BEI, il testo non è perfetto e lascia aperte parecchie porte a soluzioni per niente trasformative che permetterebbero all’industria estrattiva di riciclarsi e continuare a ricevere ingenti finanziamenti pubblici: dal sostegno a “green gas” a basso contenuto di carbonio, a prestiti veicolati tramite intermediari finanziari, come fondi di investimento o banche, che non necessariamente sono vincolati dagli accordi di Parigi.

Insomma, è presto per cantare vittoria, ma è il momento giusto per continuare a tenere sotto pressione la Banca e i governi che siedono nel suo board. A settembre saranno i rappresentanti dei ministeri delle Finanze europei a discutere il testo, prima di un incontro e di una decisione finale da parte dei ministri, prevista forse entro la fine dell’anno.

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