Intesa Sanpaolo presenta una nuova policy sul clima. Greenpeace e ReCommon: “impegni insufficienti e poco ambiziosi”

Nelle scorse ore Intesa Sanpaolo ha aggiornato i propri impegni pubblici in materia di ambiente e clima. Un aggiornamento delle policy da parte del gruppo bancario che però per Greenpeace e ReCommon risulta insufficiente e poco ambizioso.

Nello specifico, Intesa Sanpaolo, leader in Italia nel suo settore e tra i trenta gruppi bancari più grandi al mondo, ha rivisto la propria politica sui prestiti al settore del carbone e ha introdotto anche primi, marginali impegni sui sotto-settori più impattanti del comparto petrolio e gas.

 

«Gli impegni di Intesa Sanpaolo risultano poco chiari e insufficienti, ancora di più nell’anno della COP26 e del G20 a presidenza italiana», commentano Greenpeace e Recommon. «Servono poi a poco se, poco prima della loro entrata in vigore, si concedono finanziamenti a mega-progetti che mettono a repentaglio il clima, l’ambiente e le comunità locali, senza contare che riguardano solamente i prestiti e non gli investimenti, ambito in cui è evidente il supporto del gruppo torinese all’industria fossile. E il rischio è che questo supporto continui ancora a lungo, in direzione contraria rispetto alla urgenza e ambizione richieste dalla crisi climatica in corso».

Gli unici aspetti positivi di questo aggiornamento riguardano il carbone, visto che è in programma la chiusura definitiva entro il 2025 delle relazioni con le società operanti nel settore dell’estrazione. A questo si aggiunge inoltre lo stop di ogni finanziamento a quelle società che prevedono di espandere il proprio business attraverso nuova capacità installata o con la realizzazione di nuove centrali termiche a carbone.

Tuttavia, questi passi in avanti sono parziali e limitati, poiché nessuna data di phase-out è prevista per i finanziamenti alla produzione di energia derivante dal carbone. La partita con la più impattante fonte fossile resta dunque ancora aperta, nonostante la comunità scientifica abbia espressamente indicato il 2030 come data per chiudere la partita con la polvere nera in Europa e nel 2040 nel resto del mondo.

Inoltre, il testo della policy incoraggia il passaggio dal carbone al gas, combustibile fossile presentato come “naturale”, “pulito” e “necessario” alla transizione verso le energie rinnovabili. La realtà è però ben diversa: il metano è uno dei principali responsabili dell’emergenza climatica, con un potenziale climalterante 84 volte superiore a quello della CO2 in un orizzonte temporale di venti anni dal suo rilascio nell’atmosfera.

Per quanto riguarda i cosiddetti sotto-settori non-convenzionali del comparto petrolio e gas – in questo caso sabbie bituminose, petrolio e gas di scisto, operazioni nella regione artica e in quella amazzonica – Intesa Sanpaolo si conferma fedele alle sue pratiche di greenwashing.

Se da un lato è positiva la volontà di chiudere la propria esposizione finanziaria con questi sotto-settori entro il 2030, i termini vaghi della policy lasciano intendere possibilità di nuovi finanziamenti a quelle società oil&gas attive nell’esplorazione, produzione e trasporto di idrocarburi in questi ambiti così sensibili. Inoltre, come avvenuto nel caso del finanziamento alla centrale a carbone di Tuzla, in Bosnia-Erzegovina, pochi giorni prima dell’entrata in vigore di questi impegni il gruppo torinese ha sancito la sua partecipazione al mega-progetto di gas fossile Arctic LNG-2, nell’Artico russo. A ciò si aggiunge anche il finanziamento al colosso italiano Bonatti – attivo soprattutto nella costruzione di infrastrutture per petrolio e gas prodotti da scisto, come il Coastal Gaslink – insieme ad altre banche italiane, per un ammontare di 137 milioni di euro.

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