Le immagini delle acque rossastre del fiume siberiano Ambarnaya contaminate dalla fuoriuscita di 20mila tonnellate di gasolio hanno acceso per un attimo i riflettori sull’Artico, l’ultima frontiera dell’industria energetica fossile.
Una regione sempre più minacciata dalle estrazioni di gas e petrolio, e tra le più esposte agli effetti della crisi climatica, come dimostrano le temperature record registrate in queste settimane, che hanno provocato vastissimi incendi in buona parte della Siberia. Lo scorso anno, i roghi in Siberia hanno bruciato un’area estesa quanto la Grecia.
La rincorsa alle riserve artiche pone rischi incalcolabili per il Pianeta, ma rappresenta anche un’opportunità di profitto enorme per le multinazionali, tra cui la banca italiana Intesa Sanpaolo. Un angolo della vicenda di cui non si è parlato è proprio il coinvolgimento dell’istituto di credito torinese nei progetti estrattivi nella regione russa.
Con un prestito di 750 milioni di euro, Intesa è tra i principali finanziatori di Yamal LNG, un mega progetto di estrazione e liquefazione di gas (LNG) nell’artico siberiano guidato dalla russa Novatek, società soggetta alle sanzioni imposte dopo l’invasione della Crimea da parte di Mosca.
Come se non bastasse, la banca guidata da Carlo Messina si è detta molto interessata a partecipare anche in un nuovo progetto di LNG nella regione, Arctic-LNG 2. Una volta completato, l’impianto sarà in grado di produrre 20 milioni di tonnellate di gas liquefatto all’anno, proveniente dagli enormi giacimenti sotto la calotta artica. Una volta trasformato in forma liquida, il gas sarà esportato verso Asia e Europa, sfruttando le rotte marittime apertesi a causa dello scioglimento dei ghiacci. Il costo totale del progetto è di 27 miliardi di dollari.
Sfruttando una relazione privilegiata con il Cremlino e la reticenza delle altre banche occidentali, spaventate dalle sanzioni degli Stati Uniti contro la Russia, Intesa si è guadagnata una fetta importante degli affari nell’Artico, specialmente quelli energetici.
Ma non è la sola italiana a beneficiare dell’aggressiva politica energetica di Vladimir Putin. La controllata di Eni, Saipem si è aggiudata una commessa da 2,2 miliardi di euro per la costruzione delle tre piattaforme sui fondali artici su cui verranno installati gli impianti di liquefazione Arctic-LNG 2. Anche nel caso di Yamal-LNG, sarebbero 20 le imprese italiane a cui sono andati contratti di ingegneria e costruzione.
Progetti estremamente complessi che corrono rischi immensi, come dimostrato dall’incidente di Norilsk, ma a farsene carico sarà il pubblico, nella fattispecie di SACE. La società di credito all’esportazione italiana, ormai sulla bocca di molti dopo il maxi-prestito verso FCA, ha offerto la propria garanzia sul prestito di Intesa per Yamal LNG e ha in seguito siglato un accordo strategico con la russa Novatek, per promuovere la realizzazione di Arctic LNG. Il tutto tra le mura di Palazzo Chigi, alla presenza del Premier Conte e dell’ambasciatore russo, Razov.
Così se qualcosa andasse storto, saremmo noi a rimborsare banche e imprese, dato che SACE fa capo a Cassa Depositi e Prestiti, a sua volta controllata dal ministero delle Finanze. Nel 2019, il 34% del totale delle garanzie e assicurazioni offerte da SACE è andato al settore del petrolio e gas.
Progetti come quelli di Eni in Mozambico, o come quello di Saipem e Intesa nell’Artico, sarebbero impossibili da realizzare senza il sostegno pubblico, su cui di fatto vengono scaricati buona parte dei rischi. Un meccanismo perverso, che necessita di essere scardinato, specialmente ora che SACE avrà il ruolo di traghettare l’Italia fuori dalla crisi economica, potendo contare su centinaia di miliardi messi a disposizione dal governo.
Lo stesso vale per Intesa Sanpaolo. Negli ultimi anni, decine di banche si sono impegnate a non finanziare progetti fossili nell’Artico, mentre l’istituto torinese faceva incetta di contratti sfruttando la reticenza delle proprie concorrenti.
All’inizio del mese, Intesa ha organizzato un webinar per discutere le potenzialità dello sviluppo commerciale dell’Artico, al quale hanno partecipato anche Eni e niente meno che l’ex presidente Romano Prodi. Un messaggio tanto chiaro quanto preoccupante, da parte di quella che si definisce, paradossalmente, una delle banche più sostenibili al mondo.