Il punto di fine anno sul caso OPL 245

un cartello dell'Eni-Agip in Nigeria. Foto Luca Tommasini/Re:Common

Nelle ultime due settimane sui media italiani si è molto parlato del presunto caso di corruzione per l’acquisizione da parte di Eni e Shell del blocco petrolifero OPL 245 in Nigeria. C’è chi si è interessato ai fatti e chi si è soffermato sulle strategie di comunicazione della oil corporation italiana. Tutto legittimo, ci mancherebbe altro.

Noi abbiamo ricevuto e pubblicato una nota dell’Eni che spiega le loro ragioni, ribadite poi nel recente articolo apparso sul Fatto Quotidiano dello scorso 20 dicembre (http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/20/eni-i-segreti-dellaffare-in-nigeria-svelati-da-mail-interne-un-miliardo-per-giacimento-pm-sospettano-tangente/2321011/)

In quello stesso articolo, però, si menzionano delle email confidenziali pubblicate dal giornalista del Sole 24 Ore Claudio Gatti in cui la relazione tra Eni e la Malabu, ovvero la società dell’ex ministro del petrolio Dan Etete che avrebbe beneficiato in maniera del tutto illegittima dell’affare da oltre un miliardo di dollari. In base a quanto evidenziato nel blog di Gatti e nell’articolo del Fatto Quotidiano, la tesi secondo cui l’Eni avrebbe trattato solo con il governo nigeriano e non con terze parti – a cui in realtà faceva capo la licenza petrolifera – sembrerebbe vacillare non poco. Le email “incriminate” sarebbero state acquisite dai magistrati della Procura di Milano, che evidentemente le considerano rilevanti per la loro indagine.

Rimanendo in ambito giudiziario, con l’argomentazione che il procedimento chiusosi a Londra nei giorni passati non riguarda affatto la società, l’Eni e i suoi manager non hanno ritenuto necessario prendere posizione o eventualmente stigmatizzare che 523 milioni di dollari pagati tramite il governo nigeriano di Goodluck Jonathan alla società Malabu di Dan Etete siano finiti nelle tasche di un personaggio noto al pubblico nigeriano e internazionale come “Mr. Corruzione”, ossia Abubakar Aliyu, e che probabilmente la gran parte, se non tutto, il pagamento di 1.092 milioni di dollari da parte dell’Eni sia in ultima istanza finito nelle tasche di politici nigeriani, incluso l’ex presidente del Paese africano. Re:Common sottolinea che il giudice Edis nella sentenza londinese ha reso esplicito che esistono “basi ragionevoli per credere”, e non solo per sospettare, che tutto ciò sia avvenuto. Tale affermazione legittima maggiormente le indagini attualmente in corso sul caso in Italia, Nigeria e Regno Unito, con la cooperazione delle autorità americane. Inoltre, il giudice inglese ha esplicitamente affermato che è anche lecito credere che gli 84 milioni di dollari ancora bloccati a Londra fossero probabilmente destinati a quegli stessi o ad altri politici nigeriani. Per leggere la sentenza: http://www.report.rai.it/dl/Report/extra/ContentItem-ec685bde-e297-46b9-866d-09d343b4c2cf.html

Re:Common rende anche pubblico che, il 5 ottobre 2015, i giudici della Corte dei reclami penali del tribunale penale federale di Bellinzona hanno respinto una analoga richiesta di dissequestro di 112 milioni di dollari che erano stati trasferiti nel 2013 su ordine del giudice inglese Gloster dalla Malabu alla società EVP dell’intermediario nigeriano Emeka Obi su un conto a Basilea. Una rogatoria internazionale della Procura di Milano ha ottenuto prontamente il blocco di questi fondi con argomentazioni analoghe a quelle addotte per gli 84 milioni di dollari della Malabu a Londra.

Ad oggi l’Eni non ritiene di dover prendere posizione e commentare neanche su tale sentenza. E non ritiene un danno alla sua reputazione che un intermediario, quale Emeka Obi – che l’Amministratore Delegato attuale ha incontrato ripetutamente a Milano ed in altre occasioni – abbia agito in maniera dubbia dando ordine ai propri legali di spostare la somma dal Regno Unito alla Svizzera senza alcuna comunicazione alle autorità inglesi anti-riciclaggio – secondo quanto segnalato pubblicamente dai giudici svizzeri, il che costituirebbe una grave violazione delle leggi britanniche.

Per leggere la sentenza: http://bstger.weblaw.ch/pdf/20151005_RR_2015_150.pdf

Re:Common, Global Witness, The Corner House in occasione dell’assemblea degli azionisti per tre volte hanno chiesto all’Eni di rispondere e fare chiarezza una volta per tutte su dieci domande che le suddette organizzazioni hanno formulato riguardo la questione https://recommon.org/eng/ten-questions-eni-opl-245-will-ever-know-answers/. Ad oggi solo alcune domande hanno avuto risposta. L’Eni ha finalmente ammesso che il Dott. Descalzi ha discusso al telefono due o tre volte la questione Opl245 con il Dott. Bisignani prima della firma dell’accordo con il governo nigeriano. Crediamo che sarebbe molto importante che l’Eni risponda puntualmente subito ed in maniera pubblica a tutte queste domande della società civile internazionale.

Altrimenti invitiamo tutti gli investitori nella società, incluso il governo italiano, a trarne le debite conclusioni.

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