Il Piano Energetico Nazionale nasce già vecchio e pieno di gas…

Gasdotto, foto Ohikulkija, wikimedia, CC BY-SA

[di Filippo Taglieri]

Tanta ambizione per nulla, verrebbe da dire leggendo le quasi 300 pagine del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), che in merito agli investimenti per la riforma integrale del piano energetico nazionale 2021-2030 presenta alcuni passaggi molto problematici e in controtendenza rispetto ai propositi di un integrale riduzione delle emissioni di CO2.

I passaggi su ricerca e sviluppo sono encomiabili, però rimandano alcuni aumenti esponenziali degli investimenti al decennio 2030-2040, così come sempre a quel decennio è rinviato il vero e proprio abbattimento degli approvvigionamenti da petrolio. Molto preoccupante è, come vedremo, l’incremento del gas nel mix energetico italiano.

Per la sicurezza dell’approvvigionamento si intende perseguire, da un lato, la riduzione della dipendenza dalle importazioni mediante l’incremento delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica e, dall’altro, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento (ad esempio facendo ricorso al gas naturale anche tramite GNL, con infrastrutture coerenti con lo scenario di decarbonizzazione profonda al 2050)“, afferma il PNIEC.

Nel piano nazionale la presenza del gas viene quindi presentata mestamente tra parentesi, però analizzando i dati e le proiezioni si tradiscono alcuni impegni promessi, in primis quelli di essere più indipendenti dalle forniture dall’estero. In accordo con l’ultima partita di finanziamenti legati ai progetti di interesse europeo, il TAP e l’interconnessione gas Malta-Italia (attraverso il gasdotto che collega la martoriata Gela all’isola nel cuore del mediterraneo) sono i due fiori all’occhiello della strategia di (non) abbandono delle fossili.

Le forniture di gas attualmente provengono prevalentemente da Paesi con elevati profili di rischio geopolitico; per controbilanciare tale situazione sfavorevole si è cercato di diversificare i fornitori non europei (Algeria, Libia, Qatar, Russia) già da diversi anni e si continua ancora attivamente in questa direzione (Azerbaigian, e USA e Canada come GNL)”, segnala ancora il PNIEC.

L’ipocrisia di questi passaggi colpisce per due aspetti fondamentali: da un lato la presunta diversificazione delle forniture gas dalla Russia attraverso il TAP, dato opinabile visto che gli azeri per sfruttare realmente il gasdotto saranno a loro volta costretti a comprare gas proprio da Mosca, e dall’altro la valutazione del rischio geopolitico che vede come opportunità puntare sul gas azero, nonostante l’Azerbaigian sia da anni sotto la lente d’ingrandimento per la violazione costante dei diritti umani da parte del regime instaurato dalla famiglia Aliyev.

Dopo i gasdotti è il turno dei depositi di gas naturale liquido (GNL). Si vogliono moltiplicare questi impianti di stoccaggio, aggiungendone altri ai tre impianti sottoutilizzati al momento in funzione in Italia (Olt di Livorno, il terminale GNL adriatico Rovigo e il rigassificatore GNL di Panigaglia). Infatti il ministero dello Sviluppo economico ha già autorizzato tre nuovi impianti (Falconara Marittima di Api Nòva Energia, terminale GNL di Gioia Tauro di LNG MedGas Terminal, GNL di Porto Empedocle di Nuove Energie).

Il connubio GNL e Sardegna merita un discorso a parte.
Con evidente ritardo, infatti, si è deciso di metanizzare l’isola (ricordiamo come il fenomeno abbia interessato il centro-nord negli anni Settanta, il mezzogiorno negli anni Novanta) questa grande opera fuori dal tempo dovrebbe completarsi nel 2025, a soli 25 anni dalla presunta “neutralità climatica”. Questa metanizzazione dell’isola porta con sé tre progetti di depositi costieri, il più avanzato è il GNL di Oristano portato avanti da Higas, più in ritardo quelli di Cagliari (Isgas) e Porto Torres (Cip, Consorzio industriale provinciale).

L’ultimo tassello è rappresentato dalle “conversioni a gas” delle centrali termoelettriche a carbone. Il primo aspetto che balza agli occhi è proprio il termine riconversione. Ci sembra una sorta di falso mito, confermato dalla recente richiesta di istanza di valutazione ambientale per la nuova centrale a “turbo gas” di Brindisi Sud. In precedenza, la proponente ENEL aveva infatti presentato il progetto di “riconversione” senza le suddette istanze. Sono dunque nuovi progetti che di fatto “costruiscono” delle centrali a turbo gas fuori tempo massimo, dovendo gioco forza abbattere gli impianti termoelettrici precedenti.

Centrale a carbone di Cerano, Brindisi. Fotogramma dal video “L’anima nera dell’Italia”, (2017) prodotto da Re:Common.

Potenzialmente il Pniec parla di otto centrali da riconvertire per garantire soprattutto i livelli occupazionali delle zone in cui erano dislocate. È molto singolare che non se ne faccia un discorso di fabbisogno energetico, quanto di esigenze occupazionali, senza però valutare che queste centrali sono ormai da anni, per fortuna, sottoutilizzate. Eppure così recita il testo del PNIEC: “il phase out del carbone sarà accompagnato, in ottica di assicurare una transizione energetica equa, da misure a tutela dei lavoratori per lo sviluppo e la riqualificazione occupazionale, la lotta alla povertà e alle diseguaglianze, la salvaguardia dei territori di appartenenza”.

Speriamo che quest’ultimo estratto del piano venga rispettato, senza costruire nuove centrali a turbogas, ma bonificando e tutelando i territori che negli anni sono stati sacrificati e portando avanti una vera lotta alla povertà e alle disuguaglianze. Il tutto abbandonando l’abitudine italiana del ricatto salute-lavoro.

Resta aggiornato, iscriviti alla newsletter

Iscrivendoti alla newsletter riceverai aggiornamenti mensili sulle notizie, le attività e gli eventi dell’organizzazione.


    Vai alla pagina sulla privacy

    Sostieni le attività di ReCommon

    Aiutaci a dare voce alle nostre campagne di denuncia

    Sostienici