Il libro del mese – Il Paradiso dei Ricchi

[di Luca Manes]

Come nasce una grande inchiesta giornalistica? E soprattutto quali sono gli effetti sull’opinione pubblica e sulle istituzioni al più alto livello di scottanti e scomodissime rivelazioni contenute in approfonditi reportage rilanciati da testate italiane e internazionali?

Per farsi un’idea basta leggere “Il Paradiso dei Ricchi”, edito da Chiarelettere, l’ultimo libro di Leo Sisti, per decenni giornalista dell’Espresso e primo membro italiano dell’International Consortium of Investigative Journalists – ICIJ.

Sisti, insieme a una quarantina di colleghi di mezzo mondo, nel 2014 ha spulciato le migliaia di pagine che costituivano il dossier poi rinominato LuxLeaks. Documenti complessi, “decodificati” grazie al prezioso aiuto di esperti in materia finanziaria, ma che in realtà dimostrano tutti un fatto di facile comprensione: grazie a opachi accordi fiscali, il Lussemburgo permetteva alle multinazionali di eludere le tasse dovute nei paesi d’origine e nell’Unione europea. Bastava registrare una sede nel piccolo stato nel cuore dell’Europa e il gioco era fatto. Il termine tecnico in inglese è tax rulings, che eseguiti in quel modo e con quella costanza hanno fatto del Granducato un vero e proprio paradiso fiscale. Mentre nei quattro angoli del Vecchio Continente si predicava austerità, c’era chi faceva dumping fiscale a tutto spiano.

Domanda facile facile: chi occupava ruoli di governo, compresa la carica di premier, quando i tax rulings venivano siglati da potenze globali come Amazon, Google, Apple, Ikea ed FCA? L’attuale presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.

Il “killer d’Europa”, come è stato ribattezzato proprio in un articolo dell’Espresso, è sopravvissuto agli attacchi mossigli da più parti e a un’inchiesta del Parlamento europeo, della quale Sisti narra in maniera certosina tutti i dettagli, svelando come alle voci fuori dal coro siano stati spesso messi i bastoni tra le ruote, soprattutto dalla santa allenza Popolari-Socialdemocratici.

Sebbene Juncker sia rimasto al suo posto, gli ultimi sviluppi di questa annosa vicenda dimostrano che il giornalismo di qualità e che svolge in maniera esimia il suo ruolo di watchdog, di cane da guardia della democrazia, può portare a cambiamenti positivi nella società. Mai come ora all’interno dell’UE è aperto il dibattito sui temi fiscali e si stanno iniziando ad apportare dei correttivi a situazioni scandalose – e ad alcune big corporations come Apple o Google sono stati recapitati conti salatissimi da pagare. Anche perché di paradisi fiscali, nell’UE, non c’è solo il Lussemburgo – nella lista vanno quanto meno annoverati Belgio, Malta, Irlanda e Olanda. Certo, la starda è ancora lunga e accidentata. Solo per fare un esempio, per la nuova disciplina del Country by Country Reporting si sta attraversando una fase di stallo, perché non si vuole che i bilanci siano accessibili al pubblico.

Per questa ragione c’è sempre più bisogno di whistleblowers, di delatori come Antoine Deltour e Raphaël Halet, che agendo dall’interno si sono resi conto di come i documenti dei Tax Rulings dovessero essere rivelati e per questo hanno rischiato il carcere, e di giornalisti capaci e con la schiena dritta che sappiano narrare tutte queste scomode verità.

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