Il greenwashing di Snam – il caso Arbolia

Nel 2020 Snam, una delle principali società di infrastrutture energetiche al mondo, ha fondato una piccola entità dal quanto mai significativo nome di Arbolia. In quanto società benefit, Arbolia non ha prevalente finalità di profitto, ma punta a raggiungere obiettivi socio-ambientali.

Come? Arbolia “realizza” boschi urbani, perché, come si legge sul sito web della società, questi hanno la capacità di sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera, essenziale per “combattere la crisi climatica”. Un secondo valore costantemente indicato da Arbolia si riferisce all’assorbimento di PM 10, le polveri sottili, particolarmente dannose per la salute, la cui origine si deve in gran parte ai processi di combustione. Altri servizi citati da Arbolia riguardano la tutela della biodiversità e il miglioramento della qualità dell’aria. Infine, si cita anche il valore sociale ed economico che le iniziative di forestazione possono produrre.

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La falsa soluzione di Arbolia
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Per il 2022 la società prevedeva di arrivare a un assorbimento di CO2 (proiettato su 20 anni) pari a 7.000 tonnellate, traguardo dichiarato raggiunto con la piantumazione di 66.000 piante. Parliamo quindi di circa 350 tonnellate all’anno in media. Snam, per fare un esempio, nell’ultimo report sulla sostenibilità ha dichiarato emissioni per 2,8 milioni di tonnellate per il 2022, circa 8.000 volte l’assorbimento annuale generato dai progetti di Arbolia.

Ma tutto questo serve davvero? Uno studio per noi realizzato da Valerio Bini (Università degli Studi di Milano), Stefania Albertazzi (Università degli Studi di Milano) e Francesca Giacometti (Master Global Change Management, Hochschule für nachhaltige Entwicklung Eberswalde) attesta come i benefici siano molto parziali ed evidenzia come tutta l’operazione si innesti più nell’ormai fiorente settore del greenwashing, strumento sempre più impiegato dalle multinazionali del settore fossile, come Snam. 

In concreto, parliamo di 28 progetti di forestazione urbana realizzati dal 2020 a oggi, come riportato nella relazione di impatto del 2022 di Arbolia. Attualmente, alcuni di questi non sono ancora operativi o sono stati approntati da poco. La ricerca prende in considerazione un totale di 26 interventi distribuiti su 23 comuni, in 11 regioni italiane, con una prevalenza nel Nord Italia, le regioni più interessate sono il Veneto e la Lombardia. I progetti sono portati avanti attraverso un accordo tra l’amministrazione locale e Arbolia, che si occupa della realizzazione dell’intervento e della sua manutenzione nei primi due anni di vita, dopo aver ottenuto un finanziamento da una o più imprese private.

I progetti di riforestazione di Arbolia considerati nella ricerca. Mappa ©Gabriel Vigorito/ReCommon.

I finanziatori dei progetti sono di norma imprese di grandi dimensioni, attive nei settori del gas, dell’energia e delle telecomunicazioni, nella maggior parte dei casi legati alle attività di Snam. Snam stessa risulta promotrice di vari progetti, o direttamente (Pignataro Maggiore, San Donato Milanese, Vicenza Sant’Agostino) o attraverso sue controllate come Renovit (Taranto, Poirino, Treviglio). Altre aziende promotrici dei progetti sono attive nell’ambito delle infrastrutture per il settore Oil&Gas (Max Streicher, Tre Colli, Valvitalia, Sicim) o dei servizi (Rina).

Secondo la Banca Mondiale ogni persona in Italia emette circa 5 tonnellate di CO2 all’anno, mentre mediamente un progetto di Arbolia assorbe 13 tonnellate di CO2 all’anno.

Semplificando, potremmo dire che tutte le attività di Arbolia riescono a compensare le emissioni annuali di meno di 70 italiani. Se invece rapportiamo gli interventi con le emissioni delle società che finanziano i progetti di Arbolia, possiamo osservare la sproporzione esistente tra impatto ambientale e possibilità di “compensazione”. Il caso più esplicativo è quello del rigassificatore di Livorno, per il quale la società OLT Offshore LNG Toscana, per il 49% in capo a Snam, dichiara emissioni annuali di gas a effetto serra pari a 74mila tonnellate per il 2021, a fronte di due progetti di riforestazione a Pisa e nella stessa Livorno, finanziati proprio dalla OLT, che sarebbero in grado di assorbire complessivamente una media di sole 20 tonnellate di gas all’anno. Il tutto è pari a un insignificante 0,027%.

Per dare un ordine di grandezza più generale, Snam nell’ultimo report sulla sostenibilità ha dichiarato emissioni per 2,8 milioni di t per il 2022, circa 8000 volte l’assorbimento annuale generato dai progetti di Arbolia.

Gli interventi di Arbolia fanno parte di un’ampia categoria di iniziative volte a compensare gli impatti socio-ambientali delle iniziative imprenditoriali che ha conosciuto una notevole crescita negli ultimi anni. L’assunto di base di questo tipo di progetti è che i danni all’ambiente e alle comunità prodotti da un intervento pubblico o, più spesso, privato, anziché evitati possano essere riequilibrati da interventi di uguale valore in un’altra parte del pianeta.

Si tratta di una prospettiva che ha diversi punti deboli, a partire dalla premessa che i luoghi siano tutti intercambiabili. L’elemento che però presenta maggiori criticità è il fatto che risulta difficile misurare realmente l’impatto positivo o negativo di un intervento, considerando tutti gli aspetti ambientali, sociali, economici e culturali che questo produce. La comunità internazionale tuttavia, a partire dalla firma del protocollo di Kyoto (1997), ha sviluppato l’idea che il valore più utile per misurare l’impatto dei progetti sia la quantità di CO2 emessa e assorbita. Anche Arbolia, nella presentazione dei suoi progetti, comunica in primo luogo questo valore, espresso in tonnellate di CO2 assorbite in 20 anni. All’interno degli accordi internazionali sul tema, si distinguono due tipologie di progetti: quelli certificati da agenzie indipendenti e quelli che vengono promossi al di fuori di una vera e propria certificazione. In questa seconda categoria possiamo includere i progetti di Arbolia.

Accanto a questa forma di compensazione, espressa in tonnellate di CO2, occorre citare una seconda forma di compensazione che si riferisce alla produzione di spazi di valore socio-ambientale come risarcimento rispetto a interventi urbanistici di grande impatto (per esempio la costruzione di una grande infrastruttura). Anche in questo caso esiste una normativa che regola gli interventi di compensazione urbanistica ed esistono invece progetti che intendono risarcire la comunità locale in modo non formalizzato, come accade con i progetti di Arbolia.

In alcuni casi i progetti di forestazione realizzati da Arbolia rientrano in iniziative più complessive delle amministrazioni locali per il miglioramento dell’ambiente urbano. È il caso di Parma, dove gli interventi sono inseriti nell’ambito di un programma di forestazione urbana in corso di realizzazione intorno alle vie ad alto scorrimento. In altri casi, hanno un carattere più puntuale e sono pensati come compensazione di operazioni urbanistiche con un significativo impatto ambientale. La legge italiana prevede un percorso specifico per la compensazione urbanistica per il quale un’amministrazione locale può chiedere a un’impresa responsabile di un progetto edilizio di realizzare opere che equilibrino l’impatto del progetto stesso. Il caso di Arbolia non rientra in questo ambito specifico perché le azioni sono sempre di tipo volontario, frutto di un accordo tra un’amministrazione locale, un’impresa che finanzia l’intervento e Arbolia che lo implementa. Tuttavia, i progetti di forestazione possono essere utilizzati dal punto di vista comunicativo da parte delle amministrazioni o delle imprese come una sorta di indennizzo per un’opera ad alto impatto socio-ambientale.

Da parte delle amministrazioni un caso di questo tipo può essere quello di San Donato Milanese, comune che ospita la sede di Snam e dove il progetto di Arbolia si collega a un parco urbano creato come compensazione dell’intervento di espansione del Policlinico privato del gruppo San Donato. Da parte delle imprese invece c’è il caso di Pignataro Maggiore, dove nel 2021 è stata approvata la costruzione di un deposito di GAS Naturale Liquido (GNL) da parte di Snam e contemporaneamente è stata prevista la realizzazione dell’intervento di forestazione.

Insomma, finché tutto si muove su basi volontarie e senza dei controlli e delle certificazioni severe ed affidabili, i dubbi sulla scarsa efficacia di questi progetti rimangono.

Accanto all’assorbimento di gas serra e polveri sottili, i progetti di Arbolia dovrebbero svolgere anche altre funzioni socio-ambientali. Un primo criterio per valutare questo aspetto riguarda la capacità (o meno) di questi interventi di connettere tra loro spazi “naturali” (non edificati).

Da questo punto di vista, è possibile distinguere gli interventi di Arbolia in tre categorie: i progetti inseriti in spazi interstiziali, ai lati di grandi infrastrutture (autostrada, tangenziale, ferrovia), spazi cementati o stabilimenti industriali; quelli che si collocano all’interno di una più ampia zona agricola o boschiva, con potenzialità maggiori in termini ecologici; quelli infine ubicati all’interno di quartieri residenziali, che si configurano come giardini urbani. Nel caso di questi ultimi interventi si è considerata soprattutto la fruibilità dello spazio da parte della cittadinanza, più che la sua funzione di corridoio ecologico. Tra i 26 progetti presi in considerazione, quasi la metà a un valore socio-ecologico scarso o intermedio. Il progetto di Pisa è un esempio tra quelli più negativi. La riforestazione interessa un’area larga 10-20 metri e lunga quasi 1 chilometro, circondata sul lato est dalla ferrovia e da una strada statale e sul lato ovest da un cantiere navale, un parco fotovoltaico e un piccolo canale. In questo caso, il progetto si trova inserito in un contesto altamente cementificato, disconnesso dalle rare aree naturali o non edificate circostanti.

La distanza tra ciò che viene comunicato e l’impatto socio-ambientale dei soggetti promotori degli interventi è ciò che definisce il cosiddetto “greenwashing”, l’uso di iniziative di valore ambientale per migliorare l’immagine pubblica di soggetti con gravi responsabilità nei confronti della collettività. Questo, ad oggi, sembra il principale elemento di criticità di questi piccoli progetti di forestazione urbana.

“Snam aumenta le proprie emissioni anno dopo anno: 2,8 milioni di tonnellate di CO2eq nel 2022, +19% ripetto al 2021, altro che sostenibilità. Senza contare gli impatti sulla salute e sull’ambiente derivate da tutta la filiera del GNL in cui Snam si è gettata a capofitto” ha dichiarato Elena Gerebizza di ReCommon.

“Il problema non è la forestazione in sé, che nelle aree urbane di norma male non fa. La questione critica è che l’impatto positivo di questi interventi viene presentato come certo e rilevante quando invece è ipotetico ed estremamente limitato, soprattutto se comparato con le emissioni prodotte da Snam, peraltro in notevole aumento” ha affermato Valerio Bini, uno degli autori del rapporto.

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