Il gas insanguinato degli Stati Uniti e gli interessi di Intesa Sanpaolo

John Beard è il fondatore e presidente della Port Arthur Community Action Network (PACAN), organizzazione di base tra le più attive del Texas. Uno dei territori statunitensi dove gli effetti della crisi climatica sono ormai una realtà di tutti i giorni. D’inverno tempeste estreme come Uri ricoprono di una coltre di ghiaccio lo Stato, mentre l’estate è diventata la stagione degli uragani: nel 2017, l’uragano Harvey ha stabilito il record di precipitazioni negli Stati Uniti con oltre un metro e mezzo d’acqua. Di queste ‘anomalie’, ma anche degli interessi dei giganti petroliferi, dei governi e dei grandi istituti di credito, compresa Intesa Sanpaolo, Beard ci ha parlato durante una lunga chiacchierata online.  

“Una delle città più a rischio è proprio Port Arthur, perché si trova nella pianura costiera del Golfo. Durante l’uragano Ike, l’ondata di marea combinata con l’innalzamento del livello del mare dovuto ai cambiamenti climatici ha quasi superato il sistema di protezione degli argini della città”. Fra il 2005 e il 2020, cinque uragani e cinque tempeste minori hanno colpito Port Arthur, quando invece nel secolo scorso l’ultimo fenomeno meteorologico estremo era datato 1961.

Eppure, lo sfruttamento dei combustibili fossili rimane una delle priorità delle istituzioni e delle compagnie private texane. “Il trasporto di petrolio è foriero di problemi, che vanno dalla cattiva manutenzione delle linee ferroviarie che causano deragliamenti e incidenti, agli oleodotti vecchi di decenni che si sono consumati, resi fragili e corrosi dall’esposizione agli agenti atmosferici, avendo superato abbondantemente il loro ciclo di vita”, spiega Beard.

Ora la nuova frontiera è il gas naturale liquefatto (GNL), che abbiamo imparato a conoscere anche noi in questi mesi di guerra in Ucraina e di ricerca spasmodica di gas che non sia quello russo, per l’appunto da trasportare allo stato liquido per poi essere riportato al suo stato naturale. In Texas il gas sarebbe estratto tramite il fracking (la fratturazione idraulica) nell’area del Permian Basin (Bacino Permiano) e poi trasportato nella zona costiera.

“Per quanto riguarda i terminal GNL per l’esportazione, inquinano le comunità circostanti con le loro emissioni, che contribuiscono alla cattiva qualità dell’aria, mentre esportano veleni in altri paesi, tutto in nome del profitto”. Beard parla senza mezzi termini di “comunità di sacrificio”, che sopportano il peso di vivere in un ambiente contaminato e tossico, con suolo e falde acquifere inquinati e una qualità dell’aria tra le peggiori del Texas, come già nel 2010 l’Agenzia ambientale degli Stati Uniti aveva certificato, informando i residenti di Port Arthur che la città aveva il doppio della media statale e nazionale per quanto riguarda l’incidenza di tumori, malattie polmonari e renali.

Il Texas ospita sette impianti di GNL. Due si trovano nelle vicinanze di Port Arthur. Il più grande è il Sabine Pass LNG di Cheniere Energy, mentre l’altro è il Golden Pass LNG di ExxonMobil. Cheniere è attualmente uno dei maggiori operatori americani, con oltre il 70% delle esportazioni destinate all’Europa, anche grazie al sostegno finanziario della principale banca italiana, Intesa Sanpaolo.

Le comunità lungo la costa del Golfo del Texas interessate dall’espansione delle esportazioni di gas del Permian Basin sono soprattutto Port Arthur, Freeport, Matagorda Bay, Corpus Christi e Brownsville. “Le compagnie petrolifere accelereranno la distruzione di terre sacre per le comunità native e di aree sensibili dal punto di vista ambientale. Gli habitat della fauna selvatica si ridurranno e i terreni riservati alla protezione degli ecosistemi costieri andranno persi se questi progetti verranno autorizzati”, denuncia Beard.

Le cose sono destinate a peggiorare dopo l’accordo tra Unione europea e Stati Uniti per portare più gas derivante dal fracking nel Vecchio Continente, in particolare proprio dalla zona del Bacino Permiano. “L’intesa Ue-Usa rappresenta una minaccia esistenziale per la Costa del Golfo. Non porterà ad alcuna indipendenza energetica europea, ma esacerberà gli effetti del cambiamento climatico su comunità già impoverite sotto tutti i punti di vista. L’aumento delle esportazioni avrà un effetto invisibile e non dichiarato: prolungherà l’età del petrolio e del gas, perché i progetti multimiliardari hanno bisogno di almeno 20 anni per recuperare gli investimenti. Tutto ciò ritarderà gli sforzi per accelerare l’implementazione di energia pulita e verde e l’efficienza energetica, incrementando la nostra dipendenza dal petrolio e dal gas”.  Secondo il nostro interlocutore, dunque, in questa maniera “Big Oil” si troverebbe ad avere una nuova prospettiva di vita, con enormi profitti.

Ci sono intere comunità che però non ci stanno. Beard ricorda che “quelle di Freeport, della Contea di Brazoria, di Corpus Christi e di Brownsville stanno contestando tutti i permessi rilasciati dalle agenzie statali e federali competenti in materia di qualità dell’aria, dell’acqua, della contaminazione delle fonti, delle procedure amministrative, dei problemi di localizzazione, del dragaggio e dell’uso dei terreni. Noi di PACAN, qui a Port Arthur, abbiamo avviato un’azione legale contro la raffineria Valero, per oltre 600 violazioni della qualità dell’aria nel periodo 2014-19”.

Come già accennato, in tutta questa storia non mancano gli interessi italiani. Intesa Sanpaolo è fortemente coinvolta nel business dei combustibili fossili del Bacino Permiano e della Costa del Golfo, soprattutto attraverso il finanziamento dei terminali GNL (830 milioni di dollari tra il 2016 e il 2021), delle società che li possiedono o che investono in aziende petrolchimiche come Formosa Plastics. “Per questo, se potessi parlare con gli alti dirigenti della banca direi loro che stanno investendo nella morte e nella scomparsa delle comunità della Costa del Golfo, che sarà sacrificata non per aiutare l’Europa a ottenere l’indipendenza energetica ma per ingrossare le casse di Big Oil. Questi finanziamenti provocheranno ulteriori danni alla nostra comunità, già oberata da oltre 120 anni di inquinamento e sfruttamento da parte dell’industria petrolchimica. Saremo sacrificati senza ricevere nessuno dei posti di lavoro e dei benefici che l’industria promette sempre. Direi a Intesa Sanpaolo che l’inquinamento che finanzia danneggia intere famiglie, bambini e anziani affetti da cancro e altre malattie mortali e che l’ottanta per cento di queste persone non può permettersi l’assistenza sanitaria. Vorrei dire a Intesa Sanpaolo che i soldi che cercano di guadagnare con i loro finanziamenti e investimenti sono soldi insanguinati, guadagnati sulla sofferenza e sullo sfruttamento di persone che non hanno i mezzi per opporsi alle compagnie petrolifere e del gas e ai governi che le sostengono.


Non resteremo in silenzio. Continueremo a denunciare finché non avremo ottenuto giustizia! Ma abbiamo bisogno del sostegno di tutte e tutti, per difendere la nostra libertà ed il pianeta.


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