Il gas fossile della Meloni ci costa caro

La corsa al gas, promossa con decisione dal governo Meloni in nome della sicurezza energetica, inizia a presentare il suo conto. Ed è piuttosto salato.

A fine maggio, l’ente regolatore per l’energia, ARERA, ha evidenziato che il meccanismo di riempimento d’emergenza degli stoccaggi di gas, che nel 2022 ha consentito di portare le scorte oltre il 90% in vista dell’inverno, ha creato delle “rilevanti minusvalenze” che stanno pesando sul sistema e richiederebbero un’apposita copertura. Insomma, lo Stato ci sta rimettendo tanti denari, che alla fine dovremmo pagare noi cittadini.

Per entrare più nel dettaqlio, il meccanismo di cui parliamo è quello dello “stoccaggio di ultima istanza” – una delle misure “emergenziali” messe in piedi dal governo Draghi per riempire gli stoccaggi nel corso dell’estate, quando I prezzi del gas erano ancora molto alti. Come segnalato da Staffetta Quotidiana, il governo firmò due contratti con Snam e Eni, per l’acquisto di circa 1,7 miliardi di mc di gas (0,8 miliardi di mc con Eni, e 0,9 miliardi di mc con Snam) con un prestito del ministero del Tesoro. Il prezzo medio del gas era allora di circa 220 €/MWh.

Il governo di Giorgia Meloni ha quindi messo 802 milioni di euro a bilancio proprio per coprire le minusvalenze, di cui 350 milioni per il servizio di riempimento di ultima istanza, come riportato nella relazione di ARERA. 

Il testo della relazione segnala in effetti “rilevanti minusvalenze legate alle significative differenze tra il prezzo di acquisto, molto elevato, sostenuto da parte di Snam Rete Gas e del Gse per l’approvvigionamento del gas da stoccare (essendo tali acquisti avvenuti in mesi di forte tensione sui prezzi del gas durante l’estate del 2022) e quello realizzato (per le partite già vendute) o previsto di vendita del medesimo gas, molto inferiore in seguito all’allentamento delle tensioni sui prezzi delle commodities energetiche registrato e previsto nel 2023”.

Secondo il calcolo effettuato da Staffetta Quotidiana, parliamo di minusvalenze attuali – sulle vendite di gas già effettuate – e potenziali – calcolate sulla base dei prezzi correnti del gas, che sul solo GSE gravano per oltre 3 miliardi di euro. Un terzo di questi soldi stanno già assumendo la forma di crediti verso la Cassa per i servizi energetici e ambientali, che, in assenza di risorse dal bilancio dello stato, potrebbero ricadere proprio sulle bollette.

Insomma il pieno sostegno all’industria fossile confermato dal governo Meloni è tutt’altro che favorevole alle famiglie italiane, bombardate da oltre un anno da una narrazione contro le rinnovabili come “una cosa per ricchi radical chic”. Ora è evidente che mantenere il vecchio modello non è una scelta a costo zero, al contrario costa eccome: all’ambiente, al clima e alle tasche delle persone, soprattutto le più povere e più dipendenti dal gas. 

Snam, la partecipata pubblica che gestisce gli stoccaggi del gas che rientrano nel meccanismo del mercato regolato, responsabile per il servizio di riempimento degli stoccaggi di ultima istanza, chiede a testa bassa che il governo continui a investire in nuove infrastrutture per il gas. Il suo amministratore delegato Stefano Venier ha segnalato in un articolo sulla rivista trimestrale Energia che per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti “serve una ridondanza nell’infrastruttura”, che dovrebbe essere pagata dallo Stato, quindi con risorse pubbliche.

Sempre Snam si è data come obiettivo quello di coprire il 40% della domanda di gas con il GNL entro il 2026, promuovendo il gas liquido come soluzione alla crisi energetica.

Secondo i dati del MASE, nel 2022 i rigassificatori di Livorno e di Panigaglia (controllati da Snam) hanno importato +112% e +167% di gas rispetto all’anno prima. Una quota di queste importazioni di gas liquido è stata utilizzata per gli stoccaggi di ultima istanza. Ma a quale prezzo?

I principali paesi di provenienza includono Stati Uniti, Algeria ed Egitto.

Ora la palla è passata al governo, che deve decidere se mettere a bilancio le risorse per coprire questo buco da 3 miliardi, oppure se scaricarlo sulle bollette. In ogni caso, il prezzo della crisi energetica ricadrà sulle famiglie, che dovranno farsi carico anche di questo costo extra della dipendenza dal gas. Intanto Snam ha i suoi costi coperti dallo Stato, mentre Eni, che rifornisce l’Italia di circa la metà del suo fabbisogno di gas, continua a generare extraprofitti.

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