Il G7 italiano snobberà la crisi climatica?

L’inverno più caldo della storia, con record di temperature “fuori dalla norma” che ormai non si contano più, non sembra rappresentare un campanello d’allarme per il governo italiano, cui spetta la presidenza del G7 per il 2024. È vero, ci sono pur sempre le recenti dichiarazioni del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin su una giusta transizione basata sulle rinnovabili (ma anche sul nucleare) a lasciare qualche timida speranza. Tuttavia l’agenda del G7, inevitabilmente condizionata dai conflitti in atto, appare più sbilanciata su altre questioni, a partire dall’intelligenza artificiale.

Eppure bisognerebbe parlare tanto e in maniera costruttiva di lotta alla crisi climatica, perché il documento finale del summit di Borgo Egnazia potrebbe influenzare positivamente un altro consesso internazionale: il G20 sotto la presidenza dello stesso Brasile che ospiterà la COP30 nel 2025, a dieci anni dalla Cop21 di Parigi. Una possibile “ultima chance” per salvare le sorti del Pianeta.

Sarebbe poi ora che i paesi del G7 facessero un vero mea culpa, dal momento che su di loro ricade la responsabilità storica per un modello di sviluppo ad alta intensità carbonica e il contributo preponderante alle emissioni ancora oggi rilasciate in atmosfera.

Foto di Mika Baumeister su Unsplash

I membri del club più esclusivo del Pianeta dovrebbero allora “invertire un trend fossile” a dir poco inquietante. In primis ponendo fine alla promozione tramite le loro multinazionali e le istituzioni finanziarie pubbliche, come per esempio le agenzie di credito all’export, di nuovi progetti per la produzione di gas e petrolio, che ci rendono dipendenti da autocrati inaffidabili e sempre più esposti alle crisi internazionali e nuovi conflitti. Proprio il gas è stato ampiamente sdoganato durante l’ultimo G7  a presidenza giapponese, e si punta a estrarne in sempre maggiori quantità soprattutto nei paesi africani. Siamo al corto circuito totale: da un lato si sbandiera lo sviluppo e gli aiuti all’Africa – nel caso dell’Italia con il nebuloso Piano Mattei – dall’altro si lanciano progetti che porteranno  benefici principalmente ai mercati globali e genereranno nuovi extraprofitti per i giganti dell’oil&gas. Il tutto “dimenticandosi” l’accesso all’energia delle persone economicamente più povere e le ripercussioni nefaste che tali opere hanno sul clima, l’ambiente, la corruzione e i nuovi conflitti per le risorse energetiche, come dimostra in maniera drammatica il caso del Mozambico.

Se i paesi del G7 volessero davvero “invertire il trend fossile” dovrebbero finalmente cancellare i sussidi pubblici internazionali a gas e petrolio, a partire da prestiti e garanzie. Durante la presidenza giapponese del 2023 in realtà si era solennemente dichiarato che ciò fosse avvenuto già nel 2022. Ma leggendo i dati relativi a questa tipologia di finanziamenti, si scopre che, dietro la spinta di paesi del G7 come Canada, Stati Uniti e la stessa Italia, nel biennio 2022-23 c’è stato addirittura un incremento. Tra le istituzioni di finanza pubblica che supportano i progetti fossili ci sono le agenzie di credito all’esportazione, in cima a questa triste classifica. Quella italiana, lSACE, fa dell’Italia il primo finanziatore pubblico di fossili in Europa e il sesto a livello globale: 15,1 miliardi di euro a petrolio e gas tra il 2016 e il 2022.

Attenzione ai sussidi pubblici anche per le false soluzioni come il trasporto dell’idrogeno su lunga distanza, che non contribuisce agli obiettivi di decarbonizzazione. Al contrario, aumenta lo stress climatico, ambientale e sociale nei paesi cosiddetti “produttori”, come nel caso del Corridoio Sud dell’idrogeno che dal Nord Africa si vorrebbe far arrivare fino in Germania, attraversando l’Italia.

Se il denaro è il vero motore di tutti questi progetti estrattivi, bisogna allora intervenire in maniera più incisiva sulle banche di sistema, spingendole a politiche di reale disinvestimento dalle fonti fossili. Il governo Meloni ha sotto i suoi occhi un chiaro esempio di istituto di credito che la crisi climatica la combatte solo a parole, ma poi destina miliardi di euro a gas e petrolio: Intesa Sanpaolo, la “banca fossile italiana numero uno” (e tra le più munifiche a livello europeo).

Sarebbe infine ora che i membri del G7 evitassero di invitare ai loro vertici “ospiti controversi” per assicurarsi nuovi affari fossili. A Borgo Egnazia, in Puglia, a metà giugno (13-15) ci dovrebbe essere il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, candidato a ospitare anche la prossima COP29. Rinunciare alla sua presenza sarebbe coerente con quello che il G7 sostiene sulla difesa dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto. Ma che i grandi della terra predichino bene e razzolino male su una molteplicità di dossier è ormai una triste verità.  

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