I giacimenti di ENI in acque palestinesi

Il 29 ottobre 2023, tre settimane dopo l’inizio del nuovo conflitto in Palestina, il ministero dell’Energia di Tel Aviv ha concesso a ENI e ad altre compagnie petrolifere, tra cui l’inglese Dana Petroleum (una filiale della South Korean National Petroleum Company) e l’israeliana Ratio Petroleum, varie licenze di esplorazione per giacimenti di gas nelle acque antistanti Gaza.

Un provvedimento controverso, a cui ha fatto seguito nei primi giorni di febbraio una diffida recapitata alle società beneficiarie delle licenze da parte dello studio legale statunitense Foley Hoag per conto delle organizzazioni umanitarie Al-Haq, Al Mezan Center for Human Rights e Palestine Center for Human Rights (PCHR). Nel testo di Foley Hoag si chiede di «desistere dall’intraprendere qualsiasi attività nelle aree della Zona G che ricadono nelle aree marittime dello Stato di Palestina», sottolineando che tali attività costituirebbero una flagrante violazione del diritto internazionale.

La notizia ha avuto una discreta eco nel nostro Paese. All’interrogazione parlamentare presentata da Angelo Bonelli dell’Alleanza Verdi Sinistra, il ministero degli Esteri Antonio Tajani ha dovuto così chiarire: «Da quanto riferisce Eni il contratto è ancora in via di finalizzazione e il consorzio non ha titolarità sull’area, né sono in corso operazioni che avrebbero comunque natura esplorativa. Non è al momento in corso alcuno sfruttamento di risorse».

Insomma, per ora è tutto fermo, probabilmente in attesa di “tempi migliori”, ma ciò non toglie che le grandi manovre sul gas tra governo di Israele ed ENI siano effettivamente in corso.

Una conferma di come il cane a sei zampe stia rafforzando la sua posizione nel Mediterraneo, storicamente area molto rilevante per la società fondata da Enrico Mattei. In particolare, ENI è grande protagonista del boom del gas nell’Est Mediterraneo a partire dal 2015, con la scoperta dell’area di estrazione di Zohr all’interno della Zona Economica Esclusiva (ZEE) egiziana. Poi si sono registrate varie assegnazioni per esplorazione nelle altre ZEE cipriote e libanesi, fino a quelle recenti nelle ZEE israeliane. Per comprendere meglio il contesto, va eivdenziato come negli ultimi due anni l’Egitto sia stato il paese chiave per l’export di gas israeliano. Nel giugno 2022, l’unione europea aveva siglato un accordo trilaterale orientato alla sicurezza energetica con Egitto e Israele. Accordo di cui Eni ha beneficiato grazie suo terminal di esportazione egiziano Damietta LNG, rimasto fermo dal 2012 a febbraio 2021 per un contenzioso fra Eni e Union Fenosa Gas e da allora fino alla guerra in Ucraina rimasto sotto-impiegato.

Anche l’altra big energetica nazionale, SNAM, in qualità di azionista del gasdotto al Arish–Askhelon che ha portato il gas israeliano verso l’Egitto, ha tratto un grosso vantaggio economico dall’intesa.

Gli ultimi incontri tra i vertici dei governi italiani e israeliani hanno “agevolato” la presenza di ENI nell’area. Ci riferiamo al meeting ufficiale dello scorso marzo, quando il premier Benjamin Netanyahu portò a casa un’importante intesa commerciale con il gigante delle armi italiano Leonardo per lo sviluppo di un nuovo sistema laser e iniziò a menzionare un collaborazione con ENI. Ma è nell’ultimo incontro, datato fine ottobre 2023, quindi già in pieno conflitto, che il ministro dell’Energia di Netanyahu concede le tanto contestate licenze. I giacimenti si trovano in acque profonde in aree di competenza dello Stato palestinese, come definito dall’ANP nel 2019, in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare firmata dalla Palestina nel 2015. Più precisamente, lo studio legale Foley Hoag sostiene che il 62% della cosiddetta Area G sia di competenza palestinese.   

Come già accennato, la richiesta all’ENI è di fermare qualunque attività nell’area G per evitare la complicità in violazione di normative internazionali.

Se l’attività di esplorazione dovesse dare i frutti sperati, ENI potrebbe richiedere delle licenze di estrazione. Il dato di fatto è che la multinazionale italiana si trova in relazione commerciale con lo stato israeliano al quale pagherebbe le royalties per lo sfruttamento del gas, ignorando però del tutto l’altro interlocutore presente nell’area: l’Autorità Nazionale Palestinese.

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