I “biomassters” del capitalismo verde

time-for-climate-justice Foto Antonio Tricarico
time-for-climate-justice Foto Antonio Tricarico

[di Antonio Tricarico] da Rio de Janeiro – pubblicato su Il Manifesto

Neanche si è arrivati a benedire l’economia verde, chiarendone a fatica il significato nel comunicato finale del vertice di Rio sullo sviluppo sostenibile apertosi ieri, che un nuovo termine inizia a circolare tra imprese, decisori politici e commentatori: bioeconomia.

Per entrare in una società post-petrolifera, la produzione industriale dovrà dipendere sempre più da materie prime biologiche trasformate attraverso piattaforme di bioingegneria ad alta tecnologia. Ossia catturare e convertire la materia vivente, o biomassa – risorse alimentari, fibre, erbe, residui forestali, oli vegetali, alghe – in prodotti commerciali, quali plastiche, prodotti chimici, medicine ed energia.

Oggi questa grande trasformazione tecnologica, basata su ingegneria genetica, biologia sintetica e nanotecnologie, viene propagandata come la soluzione ultima alla fine del petrolio, ai cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile. L’accaparramento di biomassa come base della nuova economia è già iniziato con la creazione di mega aggregazioni societarie che legano diversi settori industriali, tra cui spiccano tutte le principali multinazionali dell’energia, della farmaceutica, del comparto alimentare e della chimica. Le nuove multinazionali della bioeconomia non solo cercano il controllo del materiale genetico trovato nei semi, nelle piante, negli animali, nei microbi e negli umani, ma allargano la loro azione a tutta la capacità riproduttiva dell’intero pianeta.

Proprio nel precedente vertice di Rio de Janeiro, datato 1992, si siglò la Convenzione sulla biodiversità, secondo cui dentro i suoi confini ogni paese ha la sovranità sulla biodiversità presente. In questo modo veniva legalizzata la grande espropriazione di biodiversità operata dai poteri coloniali negli ultimi 500 anni. Contrariamente a quello che si pensa, le realtà del Nord possiedono esemplari di ben il 93 per cento delle specie animali note e l’85 per cento di quelle vegetali, nonché due terzi della diversità genetica agricola.

Con la Convenzione sulla biodiversità si estendeva di fatto il regime della proprietà intellettuale anche al vivente. Poi dal 1994 la Wto ci ha messo il carico da dieci con l’accordo Trips sui brevetti. I paesi in via di sviluppo hanno le stesse specie nei loro fiumi, foreste e terre, ma il Nord oggi controlla gran parte del “know how” vivente.

Guardando alla materia prima, si stima che solamente il 24 per cento della biomassa terrestre è stata monopolizzata da qualcuno; per questo oggi a Rio si discute tanto di servizi degli ecosistemi e del loro commercio. “La differenza rispetto a venti anni fa è la tecnologia”, secondo Silvia Ribeiro dell’ autorevole Etc group. Nel 1992 si guardava solo alla parte della biomassa che già aveva un valore, specialmente in agricoltura e nel farmaceutico. Adesso la biologia sintetica e le tecnologie avanzate di calcolo e controllo possono modificare anche il resto della natura che non è stato ancora classificato e conteggiato. Quella che viene osannata come la “tecnologia della liberazione” in realtà nasconde nuove e più gravi fonti di dominazione: i 10 miliardi di tipi di prodotti oggi in vendita nel mondo derivano da 100mila composti chimici, che si riducono a 100 elementi fondamentali. Analogamente i prodotti naturali sono frutto di una dozzina di schemi metabolici e solo quattro acidi nucleici su cui si basa il Dna.

Brevetti sono già stati concessi a un terzo degli elementi periodici quando usati in nanotecnologie che lavorano a livello atomico. Analogamente alcuni nuovi segmenti del Dna sono già sotto licenza. Sta nascendo così una nuova classe di “biomassters”, o padroni della biomassa e della vita: società americane come la Solazyme, che ha partnership strategiche con la Marina americana, la Dow Chemical e la Chevron, ma anche Unilever e il trader alimentare Bunge. Lo stesso vale per la svizzera Evolva. Il Vecchio Continente non è da meno, con la Commissione europea che ha già adottato la strategia per una “bioeconomia sostenibile”. Siamo già di fronte al nuovo stadio dell’impresa capitalista, che sposa a modo suo il biologico.

Qui sotto, alcune immagini dalle manifestazioni che si stanno svolgendo in questi giorni al margine della conferenza di Rio (foto A. Tricarico):

[widgetkit id=949]

Resta aggiornato, iscriviti alla newsletter

Iscrivendoti alla newsletter riceverai aggiornamenti mensili sulle notizie, le attività e gli eventi dell’organizzazione.


    Vai alla pagina sulla privacy

    Sostieni le attività di ReCommon

    Aiutaci a dare voce alle nostre campagne di denuncia

    Sostienici