Giornalista azero rapito in Georgia, l’ennesimo atto di forza del governo azero?

Afgan Mukhtarli. Foto @ MeydanTv

Si sono avvicinati e di soppiatto gli hanno coperto il volto con un cappuccio. Dopo averlo malmenato, lo hanno trascinato via senza dare troppo nell’occhio. Così lo scorso 29 maggio è stato “prelevato” a Tbilisi, la capitale della Georgia, il giornalista azero Afgan Mukhtarli. Il giorno dopo Mukhtarli è ricomparso a Baku, in Azerbaigian, dove ora è accusato di traffico illecito di valuta, resistenza a pubblico ufficiale e di aver attraversato illegalmente la frontiera del Paese.

Il giornalista viveva a Tbilisi, come molti altri suoi connazionali in esilio, perché temeva di finire nelle maglie del regime guidato dal presidente Ilham Aliyev. Non bisogna dimenticare che nelle carceri azere si contano oltre 100 prigionieri politici. Formalmente le accuse nei loro confronti sono altre, sebbene, come raccontano le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, siano praticamente sempre inventate. Il caso di Mukhtarli è paradigmatico, dal momento che, a detta del suo avvocato, i capi di imputazione si riferirebbero a quanto accaduto nel passaggio del confine tra Georgia e Azerbaigian – per le autorità di Baku il suo assistito non aveva con sé il passaporto, recava illegalmente 10mila euro e avrebbe assalito una guardia di frontiera.

Suona tristemente profetico l’articolo apparso pochi giorni fa sul sito opendemocracy.org, in cui ci si chiedeva se la Georgia fosse ancora un rifugio sicuro per i dissidenti azeri. Lo stesso Mukhtarli, interpellato dall’autrice del pezzo, aveva espresso i suoi timori. Il nodo della questione è la crescente dipendenza della Georgia dall’Azerbaigian. Le forniture di gas azero sono in aumento e proprio sul territorio georgiano passerà un segmento del Corridoio Sud del Gas, che in Italia conosciamo benissimo, dal momento che l’ultimo troncone corrisponde al contestatissimo TAP.

Sul caso Mukhtarli si attendono sviluppi, anche alla luce delle forti prese di posizione di realtà internazionali e organizzazioni della società civile georgiana, che si chiedono se il giornalista sia stato rapito da esponenti dei servizi segreti di Baku e quale ruolo abbia avuto nell’episodio il governo di Tbilisi.

Per fortuna questa settimana sono invece arrivate buone notizie dal Consiglio d’Europa, l’istituzione che dovrebbe vigilare sul rispetto dei diritti umani nel Vecchio Continente, ma che non più tardi del 2013 aveva votato contro un rapporto molto critico nei confronti dell’Azerbaigian. Una decisione a dir poco controversa, sembrerebbe condizionata dalla lobby pro-Baku e il sapiente uso della caviar diplomacy, come ha ben raccontato una puntata della trasmissione Report datata dicembre 2016.

Le accuse di corruzione che aleggiano su quel pronunciamento del Consiglio d’Europa ora saranno vagliate con attenzione da tre eminenti esperti di diritti umani. L’inglese Nicholas Bratza e la svedese Elisabet Fura sono ex giudici della Corte Europea per i Diritti Umani (Brazta è stato anche presidente dell’organismo), mentre il francese Jean-Louis Bruguière è uno dei più famosi magistrati d’oltralpe impegnati nella lotta contro il terrorismo.

A loro toccherà il compito di far chiarezza, per esempio sul ruolo che ha svolto nella vicenda l’italiano Luca Volonté. L’ex parlamentare dell’UDC è stato rinviato a giudizio dal tribunale di Milano per riciclaggio di denaro, ma le accuse di corruzione si sono infrante contro il muro dell’immunità parlamentare, come spiega in dettaglio un articolo apparso sull’Espresso a firma di Paolo Biondani.

I tre giudici consegneranno il loro rapporto finale sul caso entro la fine del 2013. Hanno il potere di chiedere provvedimenti nei confronti di parlamentari che si siano macchiati di atti di corruzione.

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