Gas vs transizione ecologica, il caso di Cipro

Cipro, è risaputo, è una delle perle del Mediterraneo orientale. Ma anche in un paradiso come l’isola di Afrodite si incontrano dei territori sacrificati, come il lembo di costa chiamato Vasilikos. Quest’area ha visto nel corso degli ultimi anni una forte industrializzazione, oltre che la realizzazione dell’unica centrale di produzione elettrica dell’isola (dal 2011), che inizialmente aveva tre unità da 130 MW a olio combustibile pesante, una turbina a gas da 38 MW alimentata a gasolio e due turbine a gas a ciclo combinato, ciascuna con una capacità di 220 MW, a loro volta a gasolio e con la possibilità di essere adattate all’uso del gas naturale come combustibile.

Centrale di Vasilikos, Cipro, Eli Shany, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

L’impatto di questo progetto è devastante e dovrebbe ridursi con la chiusura di parte dell’impianto e la sostituzione con una centrale a ciclo combinato da 160 MW, finanziata al 50% dalla Banca europea degli investimenti. L’idea di costruire una centrale di questo tipo è un segno evidente di quanto nell’isola siano in pochi i decisori politici che credono alla transizione ecologica. Si pensa piuttosto a provare a sfruttare il nuovo gas fossile dell’area o in seconda battuta il “buon vecchio” olio combustibile.

Per uscire dal petrolio, Cipro vuole fare spazio al gas fossile. Sempre nella stessa area, infatti, dovrebbe vedere la luce un progetto LNG dal costo di 290 milioni di euro. A seguito di una gara d’appalto molto controversa, nel dicembre 2019 i lavori sono stati affidati a un consorzio guidato dalla China Petroleum Pipeline Engineering Company (CPPE), una società di costruzione di gasdotti e oleodotti senza alcuna esperienza precedente in tali progetti. Il quotidiano francese Liberation aveva al tempo rivelato che altre due offerte sarebbero state scartate senza alcuna valutazione di dettaglio, sia tecnica che finanziaria. L’inchiesta giornalistica segnalava anche i costi estremamente alti del progetto, sollevando dubbi sulla sua sostenibilità economico-finanziaria. Questioni che vennero sollevate al board della Banca europea per gli investimenti, che per il terminal LNG decise comunque a favore di un prestito di 150 milioni di euro.

Dal 2019, si sono succeduti problemi e ritardi, fino a indurre alla sostituzione dell’intero consiglio di amministrazione della compagnia pubblica del gas naturale di Cipro, DEFA (società che ha ottenuto un monopolio decennale sulla distribuzione e il commercio del gas), nel mese di novembre 2021.

Il 21 gennaio scorso, il presidente cipriota Nikos Anastasiadīs non ha potuto nascondere le sue preoccupazioni, chiedendo di accelerare i lavori del progetto. Inizialmente la data di chiusura prevista era infatti la fine del 2021. Tra emergenza Covid e attesa per l’approvazione della Commissione europea (CE), il completamento era prima slittato a metà del 2022. Poi sono arrivati altri rinvii e ora si parla di fine lavori a “luglio 2023”.

Ovviamente questo continuo procrastinare ha incrementato a dismisura lo scetticismo sull’opera, anche perché il presidente cipriota ha confermato che “i ritardi… avranno un impatto finanziario per i cittadini e l’economia del Paese in generale”.

Molte imprese hanno “approfittato” della pandemia per celare ritardi dovuti ad altre motivazioni, anche in questo caso sembra che le lacune progettuali siano state nascoste dietro il Covid-19. Il vero rischio nel costruire in ritardo un progetto inutile è quello di costruirlo anche a carissimo prezzo. Alcuni media ciprioti hanno già ventilato nuovi aumenti che porterebbero il costo totale intorno ai 400 milioni di euro.

Le critiche si succedono copiose ma né la locale DEFA né la compagnia cinese CPPE rispondono a dubbi e scetticismo, tanto meno si possono consultare studi di fattibilità commerciale: il progetto era stato promosso per “ridurre del 25% il costo dell’energia elettrica del Paese” e per “accompagnare la transizione energetica”. Ipotesi sempre più remota nel contesto attuale, con il prezzo del gas alle stelle sul mercato europeo e globale.

Al momento l’unica certezza è che la CPPE ha richiesto 25 milioni di euro per sbloccare il progetto, altrimenti minaccia di andar via. Il ricatto, come viene descritto nei media ciprioti, sarebbe dovuto agli aumenti dei costi dei materiali causati dalla pandemia. Purtroppo l’impressione è che la classe politica cipriota sia impreparata per questa partita che mette in mezzo equilibri geopolitici, economici ed energetici.

Questo ovviamente non fa ben sperare: proprio in questi giorni è stata aperta la procedura di valutazione ambientale per la tratta cipriota del gasdotto Eastmed, di cui Cipro è uno dei principali sostenitori. Il mega gasdotto di 1900 chilometri, di cui buona parte in mare, per un costo stimato di oltre 6 miliardi di euro – dovrebbe partire proprio dall’area di Vasilikos, proprio accanto a questo disastroso progetto di rigassificazione in (alto) mare.

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